Regia di Steven Spielberg vedi scheda film
A quasi trent’anni dalla sua prima apparizione, il personaggio di Indiana Jones non perde il suo fascino, anzi, se possibile lo raddoppia. A parte le rughe del protagonista, nulla è cambiato dalle avventure sull’arca perduta, nel tempio maledetto o in occasione de “l’ultima crociata”: Indy è ancora un supereroe senza poteri, un superuomo del coraggio e della saggezza, tutto ed il suo contrario (avventuroso accademico, sciupafemmine misogino, indistruttibile mortale). Il tocco di Spielberg è ancora più che visibile: il quarto film della saga d’avventura più rappresentativa della storia della settima arte (a pensarci bene dentro c’è tutto: avventura, azione, sentimenti, suspense, colpi di scena, umorismo) è un grande circo d’emozioni che non tradisce le aspettative, rimanendo fedele ai predecessori nonostante dall’ultimo film siano passati più di vent’anni: basta una scena per capire che quello è un film sul mitico Indiana.
Tuttavia stavolta sceneggiatori e produttori hanno voluto osare su un terreno inesplorato quanto necessario, preparando il terreno per l’onnipresente Shia LeBeouf, che si scoprirà figlio di Indiana e della vecchia fiamma Marion (per intenderci quella che batteva l’omaccione asiatico nella gara di bevute!) e che con buona probabilità sarà il prossimo Indiana Jones al cinema. Ma è troppo grande il mito di Harrison Ford e troppo simbiotico l’attore col personaggio per fare di LeBeouf il sostituto di Ford: a differenza di James Bond o di altri mostri sacri del cinema, la libertà di sceneggiatura permette che qui sia il degno erede a prendere in mano le redini della tradizione familiare e non l’attore giovane a sostituire quello ormai in declino interpretandone lo stesso personaggio.
Meno spietato del solito il cattivo di turno: Cate Blanchette (bravissima), ucraina amante di Lenin, è cattiva ma non perfida, quasi quasi se ne percepisce una vena d’umanità. Più moderno il fil rouge delle vicende: gli alieni (l’area 51 e i dischi volanti), gli anni ’50, il maccartismo. Più bello del solito il finale, una burla per i denigratori del cinema: quando Henry jr. terzo sembra baciato dal destino (e i milioni di fan già urlano allo scandalo), tocca al vecchio Indy mettere le cose in chiaro e far capire, con l’usuale faccia da schiaffi, che è ancora lui a comandare. Non sappiamo per quanto ancora, ma sappiamo che sarà ancora così. E ne siamo entusiasti.
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