Regia di Valeria Bruni Tedeschi vedi scheda film
Seconda occasione da regista per l'attrice italiana (ma anche molto francese, se pur d'adozione) Valeria Bruni Tedeschi impegnata ancora a raccontare e svelare le ansie di una donna che ha tutto (o potrebbe averlo), ed invece vive di esitazioni e incertezze, di senso di vuoto e di mancanza di compiutezza. Il secondo titolo di una ideale trilogia autobiografica anche sfacciata e incauta (si fa presto a piangere di insoddisfazione quando si e' ricchi, belli, famosi e pure con un certo talento), "Attrici" è un concentrato di inquietudini che colgono la donna di successo sulla quarantina, quando, all'apice di una carriera teatrale che la vede punta di diamante di una compagnia impegnata a rappresentare "Un mese in campagna" da Turgenev, coglie un senso di inadeguatezza e di irrisolutezza di tutto ciò che la circonda e, anche incalzata da una madre bizzarra quanto vitale e libertina (che come nel seguente suo film è Marisa Borini, la "tremenda", quasi caricaturale e disarmante madre delle due "Bruni" (Tedeschi)), si accorge che non c'e' piu' tempo e spazio per le esitazioni. Una donna di quarant'anni sola, senza compagno, nell'ultimo periodo di fertilità che anche il suo medico le consiglia di utilizzare con razionalità (e un certo cinismo nel consigliarle di ricorrere al marito psicologo con studio proprio al piano superiore al suo) se desidera diventare madre. E dunque dramma: che sfocia nella insicurezza, nel capriccio ostinato che fa trasalire ed indignare il meticoloso regista (Mathieu Amalric) impegnato nella trasposizione neanche troppo elementare. Attrici e un' opera di passaggio sull'essere attrice nella vita, oltre che sul palcoscenico, per riuscire ad essere la protagonista e la prima donna della propria vita, quella vera. Un film che con il successivo e recente "Un castello in Italia", piu' compiuto, lucido e disincantato, forse anche ironico, chiude idealmente un ciclo intimo che può infastidire, ma resta comunque sincero, fino all'eccesso, fino a provocare irritazione, dando comunque atto alla regista di muoversi con un candore disarmante, come un giocatore di una bisca (quella della vita), che affronta gli avversari a carte scoperte, da temerario, intrepido, e pure un po' ingenuo e disincantato.
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