Regia di Bård Breien vedi scheda film
Un'assistente sociale insegna a pensare positivo a un gruppetto di disabili; un giorno il suo intervento è richiesto da Ingvild, il cui marito Geirr vive in carrozzina da due anni e sta diventando ingestibile.
L'esordio in lungometraggio per Bard Breien, quattro anni dopo il corto Franks Prolaps (2003), è questo The art of negative thinking, una commedia amarissima che poteva provenire solamente dalla Scandinavia. Disabilità e ipocrisia sono al centro della storia nella sceneggiatura dello stesso regista; i falsi pietismi vengono messi al bando con una chiarezza e una lucidità devastanti, come può fare un film norvegese, prodotto di una società all'avanguardia in materia di welfare e integrazione sociale. Il fulcro del discorso è, banalmente, lo scontro fra il pensiero positivo e quello negativo: due differenti maniere di inquadrare problematiche ostiche e irrisolvibili come quelle relative a un handicap psicofisico permanente. La riunione sotto lo stesso tetto di un gruppo di persone istruite al pensiero positivo, all'ottimismo forzato, al paraocchi sulla propria situazione, e di un fiero rappresentante del pensiero negativo, un uomo disperato ma non incapace di cogliere l'ironia della sua condizione, non genera il classico scambio di esperienze che arricchisce entrambe le fazioni: da The art of negative thinking esce infatti un solo vero e proprio vincitore, Geirr, che impartisce una sonora lezione senza mezze misure all'assistente sociale e ai suoi 'protetti' dimostrando loro quanto sia nocivo continuare a sperare in qualcosa che non può esistere e ad appoggiarsi alla pietà altrui. L'aiuto concreto verso chi non è del tutto autosufficiente non è materia di discussione: lo spirito caritatevole rassegnato alla superiorità del sano sul disabile, invece, lo è. In questo il film è grandioso e lo sviluppo in crescendo della narrazione fomenta la sensazione di trionfo da parte di Geirr e della sua mentalità pragmatica, pessimista, relativistica, umana, concreta. Non mancano i momenti smaccatamente comici, le psicologie dei personaggi sono ben evidenziate, la struttura simile a quella di un kammerspiel non fa pesare il budget presumibilmente risicato, gli interpreti - un gruppo di attori norvegesi di scarsa fama all'estero - funzionano tutti, chi più e chi meno, Fridtjov Saheim su tutti. Appena 75 minuti di durata per un piccolo gioiello capace di generare risate mantenendo il rispetto per la disabilità, e al contempo di far riflettere su questioni sulle quali difficilmente ci si sofferma finchè non entrano prepotentemente nella propria vita. 8/10.
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