Regia di Tamara Jenkins vedi scheda film
"Cosa diventiamo..." avrebbe detto Totò e nessuna battuta credo sarebbe suonata più calzante per la vecchiaia messa in scena da Tamara Jenkins che, a nove anni dal bell'esordio con "L'altra faccia di Beverly Hills", ci riprova con una nuova commedia indipendente, amarissima eppure percorsa da un'imponderabile vena grottesca ed umoristica che riesce ad alleggerire non poco tematiche altrimenti tragiche ed atroci, come l'inesorabile declino della senilità, il fallimento delle proprie ambizioni, il fine vita, la devastazione dei rapporti familiari, l'incapacità dei figli di assumersi le proprie responsabilità nei confronti dei genitori, l'ipocrisia di una società che esilia i propri vecchi in dorati lager dai colori pastello che, nel loro pulito ed impeccabile ordine, sembrano riprodurre la fissità raggelante dei cimiteri. Tamara Jenkins è brava e, come nel suo film d'esordio, conferma la capacità di confezionare pellicole convincenti partendo da piccole storie di uomini e donne senza particolari qualità, ma avrebbe bisogno di tentare uno scatto in avanti e trovare delle modalità espressive che rinuncino ai vezzi un po' sterili della commedia indipendente, come le inquadrature tremolanti, la fotografia un po' sgranata, i frequenti ricorsi al controluce e l'estetica "povera" (e decisamente snob) dei film che sanno di essere intelligenti e "di nicchia". Niente da dire sul cast che può contare su Philip Seymour Hoffman e Laura Linney, due dei più straordinari e sottovalutati attori del cinema americano, peraltro ben coadiuvati da un eccezionale Philip Bosco, in un ruolo sgradevole, dolente ed amarissimo. Molto bello il finale, delicato ed aperto alla speranza. In definitiva, sebbene non esente da qualche difetto, "La famiglia Savage" è un gran bel film, una delle saghe (si fa per dire) familiari più interessanti, meno banali e, purtroppo, più sottovalutate che mi sia capitato di vedere negli ultimi anni: voto positivo.
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