Regia di Lenny Abrahamson vedi scheda film
Josie (Pat Shortt), un uomo sulla quarantina un po' tardo ma buono e di animo gentile, lavora a una pompa di benzina di proprietà del signor Gallagher (John Keogh), il quale gli affianca come aiutante David (Conor Ryan), un ragazzino taciturno con cui instaura subito un buon rapporto: la vita di Josie, lavoro a parte, è fatta di piccole cose come la frequentazione di un pub nel sonnacchioso paese irlandese dove vive, dove sovente viene preso in giro, qualche dialogo con la commessa di un negozio, Carmen (Anne-Marie Duff), che lo considera unicamente come amico, amicizie sporadiche, compreso un cavallo, a cui gli offre sempre del cibo. La sua vita, a causa di un suo comportamento equivoco con il ragazzo, subirà un brusca svolta.
'Garage' è l'opera seconda di Lenny Abrahamson, del quale in questo periodo dovrebbe esserci ancora in qualche sala 'Room', film riuscito a metà, ma che ha comunque consentito alla protagonista Brie Larson di aggiudicarsi l'Oscar come migliore attrice dell'anno, ed è un ritratto minimalista ed intimista di un'esistenza ai margini, ambientato in una Irlanda desolata e poco abitata, dove la vita di tutti i giorni è costellata di 'eventi' ripetitivi, che si perpetuano di giorno in giorno, tra un pub fetido, frequentato da gente poco raccomandabile, una passeggiata immersi nella natura circostante ed un lavoro alienante, poco costruttivo, che richiede ben pochi sforzi a livello d'intelletto ed immaginazione.
La cosa più apprezzabile del film di Abrahamson è la delicatezza del tocco, la cura nel tratteggiare i suoi personaggi e specialmente la bravura nella direzione degli attori: in fondo, il film narra una storia già vista molte volte e qualche volta eccede in lunghe parentesi silenti, che fanno tanto film indie e ingolfano la componente narrativa, non proprio il punto di forza del regista, ma quando la scena è dominata dal protagonista, il film prende quota, diventando una specie di triste favola sul diverso, osteggiato dalla comunità in cui vive: eccezionale quindi la prova di Ben Shortt, attore sconosciuto per chi scrive, ma dotato di grande sensibilità e presenza scenica, nonostante madre natura non gli abbia regalato un fisico ed un aspetto da star, che riesce a non cadere nella trappola della macchietta, costruendo invece un individuo, pur nella sua semplicità e bonarietà, travisate dai più, dai contorni 'tragici' e toccanti.
Voto: 7 (v.o.s.).
P.S. : visto l'inglese parlato, a spizzichi e bocconi, dalla totalità degli interpreti, è doveroso (e consigliabile) più del solito guardare il film in versione originale sottotitolata, dato che ho la sensazione che in italiano sia proprio tutta un'altra 'cosa'!
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