Regia di Lenny Abrahamson vedi scheda film
Un film piccolo, quello di Lenny Abrahamson, eppure abbastanza forte da sbaragliare la concorrenza in numerosi festival internazionali, non ultimo il Torino Film Festival nel 2007. Questo nonostante o grazie alla sceneggiatura, asciutta ma precisa, e alla storia, essenziale quanto lontana da qualsivoglia eco glamour. Proprio come il protagonista, Josie, un disadattato che nella squallida periferia irlandese (dove i binari sono morti e l’autostrada è chiusa) si trascina, zoppicando, l’esistenza tra la pompa di benzina presso cui lavora e il pub dove condividere una birra con le facce di sempre. Alle quali si aggiunge inaspettatamente quella di David, un adolescente che gli dà una mano in officina e che, lui solo, lo tratta da pari. In fondo Josie è sostanzialmente un innocuo (anche quando scoprirà la sessualità, non scadrà mai nel disagio di Lars e una ragazza tutta sua, in concorso a Torino nello stesso anno) che per l’inguaribile ottimismo e per la disinteressata generosità riecheggia da lontano la celebre figura di Forrest Gump, anche se è sufficientemente delineato da vivere di vita propria. Solo piuttosto che solitario, ingenuo ma a modo suo felice, Josie vive ai margini della società, sebbene in realtà ne sia un perno portante in quanto funge da valvola di sfogo di frustrazioni singole e collettive: grazie a lui, infatti, ognuno è autorizzato a sentirsi migliore di un qualcun altro su cui rifarsi. Storia di ordinaria esclusione la sua, come tante altre: tutto il film è testimone di episodi di violenze a cascata a discapito di chi è posto su un gradino più basso (emblematico il racconto dei lucci e delle anguille, gli uni cacciatori, le altre prede), oltre che di una Natura non geneticamente modificata. E, in quanto tale, spesso difettosa, a volte crudele, certo imprevedibile (innumerevoli sono gli alimenti che marciscono, senza contare poi i cuccioli non di razza abbandonati nel fiume). Garage, con i suoi toni non dimessi ma mai gridati eppure convincenti, vuole essere l’affermazione di tutto questo: un inno alla diversità, alla bellezza dell’imperfezione e all’unicità di tutto ciò che “di razza” non è.
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