Regia di Lenny Abrahamson vedi scheda film
Josie (Pat Shortt) è un uomo buono e alquanto disadattato che gestisce una stazione di servizio alla periferia di un piccolo paese dell'Irlanda. Durante i week-end del periodo estivo viene affiancato nel suo lavoro da David (Conor Ryan), un ragazzo piuttosto taciturno col quale condividerà un po’ di solitudine e qualche lattina di buona birra.
”Garage” (premiato a Torino) è un ottimo racconto sulla solitudine e sulla "verginità" d'animo di un diverso, un inno alla purezza delle piccole cose compiuto senza il ricatto della retorica di maniera. Con uno stile che dire ridotto al minimo è poco, Larry Abrahamson dirige un film in cui l'estrema delicatezza della storia fa da corollario a un ritratto d'ambiente che ci restituisce un Irlanda lontana anni luce da quella canonizzata dai registri edificanti del turismo di massa. Non è solo Dublino l'Irlanda, ma anche questi piccoli paesi sperduti e dimenticati da tutti e da tutto, dove i pub, più che essere luoghi in cui è possibile inciampare nello "spirito" di Joyce o Yeats, servono agli abituali avventori per affogare un po’ di malinconia nell'alcol e a trovare il modo di sentirsi uomini migliori sbeffeggiando lo scemo di turno. Paesi dove i binari ferroviari non servono più per il passaggio dei treni ma ai ragazzi per ravvivarsi davanti a un falò, dove l'autostrada non passa più e la noia dominante rende i buoni d'animo come Josie facili prede del pubblico dileggio. É tanto lontana l'Irlanda descritta dal film dagli stereotipi da cartolina quanto lo è Josie dal tipo d'uomo alla perenne ricerca di esperienze accattivanti. É il ritratto della purezza fanciullesca Josie e sembra anche felice di lavorare in quella fatiscente stazione di servizio dove passa intere giornate a fare piccoli aggiustamenti e ad aspettare le auto che arrivano per fare rifornimento. Il suo mondo e tutto li e più che amare la solitudine la ricerca come antidoto alle piccole e grandi angherie che è costretto a subire quando si inoltra oltre i confini amici. Ha una sconfinata voglia di concedersi agli altri, di dare affetto e comprensione senza pretendere nulla in cambio, ed è considerato un diverso solo perchè agisce disinteressatamente, senza finalità alcuna, peccato mortale in tempo votato al più bieco edonismo. Non manca la poesia in questa bella parabola sugli umili, rinvenibile sul volto candido di Josie, nella sua amicizia con un cavallo e in una campagna rimasta ostinatamente selvaggia nonostante i segni della modernità che l'hanno attraversata. La struttura d'insieme tratteggiata da Abrahamson a me ha fatto venire in mente "Mouchette" di Robert Bresson (come ha pure ricordato Kikisan nella sua recensione a questo film), sia per la difficoltà evidente degli abitanti del luogo di compiere gesti autenticamente umanizzanti che per il peso dell'indifferenza umana che alla fine, come succedeva con la piccola Mouchette, graverà sulla sorte di Josie. Superlativa prova d'attore di Pat Shortt per un film che dice molto di più sulla condizione dei rapporti umani di quello che sembra. Perchè invece di urlare parla sottovoce, come chi si insinua con garbo nelle discussioni sulla nostra modernità senza la pretesa di voler imporre alcunché, ma solo perchè mosso dal partecipato interesse di voler discutere sullo stato delle cose.
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