Regia di Lenny Abrahamson vedi scheda film
Chiedo scusa se dovrò far precedere la recensione da una premessa all'insegna dell'irritazione e dell'invettiva. In questo demenziale panorama estivo che è letteralmente scompaginato dall'arrivo in pompa magna nelle sale di Harry Potter e dall'occupazione permanente delle stesse da parte dei miei odiatissimi Transformers, per il destino di ogni altra pellicola l'appassionato di cinema non può che pregare ed affidarsi a Dio. Infatti nelle sale della mia città (Bologna) non si è trovato per l'atteso (da me) "Ghost Town" nessun fottutissimo buco di posto. Non solo a Bologna, ma neppure nella vicina Modena. Lungo la via Emilia, insomma, pare ci sia posto solo per "Maghetti & Ferraglia". Scorrendo la pagina (regionale) dei film di "Repubblica" apprendo che "Ghost Town" è programmato solo in due sparute sale a Reggio Emilia e a Ferrara (chissà poi perchè così "decentrato") ma a quel punto, spendere tempo e soldi di benzina per una trasferta sarebbe stata una beffa, così ho deciso di rinunciare a quel film di cui si sta parlando in giro con vivo interesse, con però la consapevolezza che sta maturando in me un malumore sempre crescente nei confronti dei meccanismi della distribuzione cinematografica. Già è un miracolo se sono riuscito a vedere quel gioiello di "Adventureland" (unico spettatore in sala, film uscito con promozione zero in pochissime copie), ma per "Ghost Town" temo sarà molto dura. E nessuno si azzardi a dire: "ma dài, devi solo aspettare il DVD..." perchè chi mi conosce sa benissimo che io sono uno di quei residui "giurassici" che ancora sostengono la sacralità della "sala buia". Ma veniamo alla pellicola che ho scelto come alternativa. Per giudicare questo curioso film di produzione irlandese datato 2007 che è "Garage", dovrei sdoppiarmi o compilare due diverse recensioni. Non è facile decidere quale atteggiamento scegliere, anche perchè i pro e i contro paiono equivalere. Mi spiego. Si tratta di un film apprezzabile, piccolo ma coraggioso, che nella sua piena libertà di movimento e di stile, può permettersi di optare per una linea minimalista che non teme accuse di lentezza o di -appunto- eccessivo minimalismo. Anchè perchè una storia c'è. Le cose accadono. E anche le rispettive reazioni. Fino ad una conclusione tragica ma anche serena. A parte poi il fatto che se il film ha trionfato al Torino Film Festival di un paio d'anni fa, un motivo ci sarà, o no?. Eppure, nonostante un protagonista azzecatissimo (sia come ruolo che come interpretazione) i cui movimenti vengono scandagliati e seguiti dalla macchina da presa in lungo e in largo, alla fine un filo di perplessità ti rimane e non riesci a scacciare un insinuante senso di delusione. E quando si accendono le luci in sala ti viene spontaneo guardare chi ti sta seduto accanto con un'occhiata che significa: "...Tutto qua?". Una piccola parentesi per chi ha visto il film: nell'ultima immagine che appare sullo schermo, quel cavallo che avanza, cosa rappresenta? è un simbolo di che? Mah. In sostanza, lo sfondo, la storia e il protagonista (elementi di cui riferirò tra poco) ci sono tutti, e funzionano anche bene, risultano interessanti. Detto questo, dopo è tutto uno sguazzare nel più spinto minimalismo. La vicenda narrata è di una semplicità disarmante. Josie vive in un desolante (e desolato) paese dell'Irlanda, dove lavora come responsabile di un piccolo distributore di benzina. Ho usato il termine "desolato" perchè ci viene rappresentato come un "buco di culo del mondo" in cui immagino nessuno vorrebbe vivere. Un paese morto, dove anche i binari sono morti, e dove anche la gente è morta dentro, condannata a gesti, luoghi e situazioni sempre uguali. E in questo sfondo ben poco esaltante, spende i suoi giorni il nostro Josie, persona di serenità assoluta, se ottimista o rassegnato non si sa bene, che fa pensare subito ad una sorta di Forrest Gump, un super semplice, uno che subisce la vita senza alcuna velleità a cambiarla. Ma il punto è che siccome lui è una persona serena e del tutto incapace di malizia, viene considerato dagli altri paesani un pò "lo scemo del villaggio", e fatto oggetto di derisioni, oppure -nel migliore dei casi- trattato con la compassione che si riserva agli esseri "sfortunati". In particolare, oltre ad un assiduo del pub che lo bombarda di provocazioni ed insulti che lui incassa senza mai reagire, c'è una ragazza piuttosto "squinternata" a cui lui guarda con qualche aspirazione, senonchè costei è talmente stronza che, dopo aver ballato guancia a guancia con lui mentre era ubriaca, quando lei torna sobria lo avverte con estrema chiarezza (ma anche con una crudeltà infinita) che tra lei e "uno come lui" non ci potrà mai essere nulla. E Josie, dopo una vita intera che ingoia rospi, incassa anche questa brutta bastonata. Ma successivamente arriva un altro "rospo" troppo mortificante da ingoiare, troppo umiliante, a segnare che la misura è colma. E il buon Josie, a quel punto, non regge, non ce la fa più. Ma comunque vadano le cose (aiuto! ho sfiorato lo spoiler!!) Josie, pur nella sua imbranata ingenuità e nella sua colpevole incapacità a reagire a quel mondo di falliti e di coglioni che lo trattano da "ritardato", si rivela come una specie di Eroe che combatte quotidianamente armato solo di generosità, sincerità, trasparenza ed onestà. Esiste dunque una discreta sceneggiatura, con snodi narrativi ben precisi, ma la sensazione è che, seppure il film duri appena 85 minuti, i fatti che si succedono sono troppo pochi per riempire quell'ora e mezza scarsa: e non è mica facile percepire 85 minuti come troppo lunghi!! La colpa, dunque, di chi è?
No di certo dello straordinariamente bravo attore protagonista (Pat Shortt): non si riesce ad immaginare un Josie che abbia volto diverso dal suo. Forse allora è il regista Lenny Abrahmson che non ha saputo imprimere al film un ritmo adeguato. Intendiamoci: da un film del genere nessuno si aspettava nulla di "scoppiettante", però resto convinto che si poteva salvare la natura dell'opera (grottesca? dolente? malinconica? moralizzatrice?) con qualche iniezione di vivacità in più e qualche minuto di silenzio in meno. Ma, attenzione, potrei anche rimangiarmi quanto detto finora ed affermare che questo film ha i tempi che si merita, i tempi a cui ha diritto un'operina indipendente alla quale non è lecito richiedere nè spettacolarità nè azione. E quei tempi dilatati a cui non siamo più abituati al cinema, in fondo rispecchiano i tempi "naturali" delle nostre vite, dove è naturale ci sia spazio anche per pause e rallentamenti. E allora, come la mettiamo? Film troppo minimale ai confini della povertà espressiva, oppure film dai tempi umani e ragionevoli? La chiave sta nel concetto che esprimevo all'inizio: questo è un film giudicabile da due punti di vista. Guardate me, per esempio, che non ho ancora deciso quale dei due adottare. Sono proprio una frana.
Voto: 7
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