Regia di Craig Gillespie vedi scheda film
Raramente la solitudine (che di per sé può essere anche un valore, a suo modo) è stata affrontata in modo così tenero e sensibile e per di più la sceneggiatrice Nancy Olivier si rapporta alla storia evitando caricature e banalizzazioni, preferendo una strada più sottile e minimalista. Al centro della scena c’è un personaggio insolito, emotivamente problematico, incapace di un contatto normale con gli esseri umani, vagamente fobico se non trasversalmente autistico: un protagonista inusuale, tratteggiato da un imbolsito Ryan Gosling con stupefacente delicatezza, di cui non sempre si condividono le scelte ma a cui è impossibile voler male.
Lars si compra una bambola bellissima ed inespressiva e proprio per questo è felice: l’impossibilità di una comunicazione implica la certezza sentimentale di chi ha paura dei sentimenti stessi. Parla con la bambola, la bacia, la carezza, la rimprovera, le chiede di sposarlo. Probabilmente ci fa anche sesso, ma l’evidenza della scena non ci dà la sicurezza che questo accada, e forse nemmeno ci interessa. Il gioco lo conduce lui e solo lui decide quando mettere la parola fine.
È un film sicuramente imperfetto, non privo di sbavature: il fatto che Lars abbia una spasimante e che tutta la comunità gli sia vicino nonostante le iniziale titubanze testimoniano una semplificazione buonista che evita il reale conflitto che uno s’aspetterebbe. Ma è tuttavia un film malinconico e tenero che ha molte cose da ricordare (specie per merito di Gosling e di Patricia Clarkson, l’infelice dottoressa che ha in cura Lars) e una scena struggente se non straziante in riva al lago.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta