Regia di Craig Gillespie vedi scheda film
Il film di Gillespie ha il pregio di trattare un tema delicato e rischioso cercando di evitare da una parte il macchiettismo la risata facile ed il cattivo gusto un tanto al chilo, e dall'altra il sentimentalismo in cui cade quasi sistematicamente il cinema americano quando si parla di disagio mentale. Sceglie invece un approccio morbido all'argomento, cerca una rappresentazione il più possibile realistica, senza però riuscire ad andare oltre una semplice utopia: c'è poco di reale infatti (e purtroppo) nella comunità che circonda il tenero Lars, mai una parola fuori posto, nessuna cattiveria, nessun individuo abbastanza ottuso od egoista da ostacolare in qualche modo la sua lenta e prevedibile crescita, ma solo una monotona serie di personaggi tutti troppo buoni per essere veri. Quello di Lars è quindi un percorso in discesa, privo di ostacoli, in una sorta di paradiso terrestre: troppo facile per riuscire a coinvolgere fino in fondo lo spettatore, che dovrà accontentarsi di qualche sorriso qua e là, fine a se stesso.
Zero graffi, insomma, solo una dose da cavallo di buonismo servita in salsa agrodolce. Ma quel che resta alla fine è l'amarezza per l'occasione sprecata. Semplicistico.
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