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Rosso Malpelo

Regia di Pasquale Scimeca vedi scheda film

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La recensione su Rosso Malpelo

di ROTOTOM
8 stelle

Se sei rosso ti tirano le pietre.

 

Il giovane Pinuzzo è detto Malopelo (Antonio Ciurca)  a causa dei capelli rossi e nella cultura arcaica siciliana il rosso di capelli è portatore di disgrazia. Vessato e deriso per questa sua caratteristica, Malopelo aiuta il padre Mastro Misciu Bestia (Marcello Mazzarella) nella locale miniera di zolfo di proprietà di un laido ingegnere. Quando il padre muore, Malopelo prende il suo posto alla miniera per  poter portare avanti la famiglia.

Tratto da una novella di Giovanni Verga, Rosso Malpelo è stato girato in Sicilia, nei luoghi dell’enorme bacino minerario per l’estrazione dello zolfo e dove  oggi sorge il Parco Minerario di Floristella-Grottacalda.

E’ una storia di fatica e sfruttamento, tragica e vera come sono state le novelle dello scrittore siciliano. La povertà e l’umiliazione abitano i cuori scavati nella pietra dei personaggi del film. Ignoranza e superstizione si intrecciano e scavano in quei cuori come la miniera affonda nella terra arida della Sicilia verso un buio sempre più profondo. E’ un’opera neo realista fatta di facce e braccia, le parole strappate al dialetto rimbalzano tra i muri scrostati delle abitazioni scavate nella roccia e si infilano fino giù il più profondo budello della madre terra non più fertile. Lo zolfo e il demonio. L’inferno in terra che si palesa nell’impossibilità di avere via di scampo se non farsi sedurre dall’abbraccio della morte.  “Malupilu” è testimone dello sfruttamento dei suoi compaesani bambini, usati per ficcarsi nei cunicoli per riportare alla luce lo zolfo, abituati ai morti, zittiti dalla violenza adulta.

Quello che sorprende è la mancanza totale di empatia come se la vita di questi personaggi fosse annichilita e focalizzata al presente, senza passato e futuro, e la sopravvivenza l’unica ragione della vita stessa. “Malupilu” scansato e trattato come una bestia anche dalla madre che cerca di maritarsi a corpo ancora caldo del marito per poter sopravvivere, è il diverso che fa da cartina tornasole alla brutalità degli altri personaggi, abbruttiti da una vita da girone infernale, azzoppati nel lessico, sconfitti. Suoi gli unici slanci verso i più deboli (dolcissima la sua amicizia con “ranocchio” interpretato da Omar Noto, volto feticcio del regista insieme a Marcello Mazzarella e Vincenzo Albanese)  sua la chiusura quasi onirica su una giostra portatrice di un po’ di gioia nella festa del paese, suo l’atto di sacrificio che annienta la superstizione dei compagni di miniera.

scena

Rosso Malpelo (2007): scena

L’epoca di Rosso Malpelo è indefinita, sembra uno sguardo su una preistoria che ha preso nel suo corso lungo il tempo, una deriva bizzarra. I suoi abitanti vivono in caverne abbarbicate alle montagne, usano attrezzi come clave, grugniscono del loro dialetto gutturale e povero di significati quanto carico di violenza repressa.  Lo sguardo di Scimeca si sofferma però sullo sfruttamento dei bambini già destinati a vivere e morire in miniera, all’incultura dell’infanzia sistematicamente tradita un po’ per tradizione, un po’ per malamore, un po’ per necessità. La povertà estrema costretta dal folklore all’abdicare della ragione in favore delle spire rettili della superstizione è il trait d’union dei personaggi, uniti da un destino dimentico degli ultimi, sorpresi dalla camera da presa del regista in un inconsapevole, meccanico atto di vita.  Mentre l’Ingegnere padrone del sito minerario vive in un castello in mezzo al nulla, nel quale la decadenza e lo sfruttamento della povertà della gente si palesa non soltanto sul lavoro ma sulla corruzione dei giovani corpi  costantemente in balia di questi esseri (dis)umani.
Tuttavia il pregio della messa in scena del regista  è quello di non cedere al melodramma,  o al patetico coinvolgimento emotivo dello spettatore. Lo sguardo è neutro, distaccato e secco. Rari i primi piani dei protagonisti, quasi mai si indugia sulle loro emozioni più profonde. Sempre le figure sono riprese in campo medio per inserire il soggetto nell’ambiente che abita e del quale ne è frutto e vittima. Negli stretti cunicoli della miniera invece la forma umana viene compressa in un claustrofobico antro dal cromatismo contrastato, soffocante e evocativo.  

Rosso Malpelo seppur impregnato di realismo è concepito come una favola triste, una fiaba proletaria che fa del reale uno scenario onirico. Non ci sono principi, principesse, scarpine o zucche, ma picconi e zappe, muli e il suono delle pietre che sbattono contro altre pietre nel sudore e nell’ansimo dei suoi personaggi. Malopelo è il folletto tragico di una storia nella quale gli attori si mischiano alle maschere della gente comune, alle macchiette di paese, al ritmico scandire del giorno e della notte, per mettere in scena e  registrare un prezioso documento antropologico della società rurale arcaica e dello sfruttamento brutale della condizione umana nella terra della Sicilia bruciata dal sole.  

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