Regia di Sam Garbarski vedi scheda film
“Separare, separare sempre” le dice la sua ‘insegnante’ e ‘collega’ Luisa, ma Maggie ha bisogno di sentirsi, di essere sempre se stessa anche in mezzo alle macerie al neon di un’umanità (s)perduta. Ed è questa la forza di Maggie/Irina (l’una è l’altra), quella di essere capace di non annientare la sua personalità, né tantomeno la sua dignità, lì dentro.
Lei è una donna di mezz’età, un po’ sovrappeso, dolce e riservata, una che non immagineresti mai a fare le seghe a uomini senza volto in un locale scalcagnato. Eppure… ed ecco l’idea geniale di un film di opposizioni e dissonanze, di armonia degli opposti; duplicità incarnata anche dalla stessa protagonista, nella realtà ex donna del rock trasgressivo, qui nonna affettuosa, pudica e ingenua (almeno all’inizio, almeno all’apparenza). Da una parte il sesso mercificato e fine a sé stesso, dall’altra l’amore incondizionato e disinteressato di una nonna verso il nipote; da una parte la meschinità e la tristezza di un lavoro degradante, dall’altra l’ironia e la leggerezza (che non significa superficialità) con cui viene affrontato; da una parte il piacere come droga e perciò compulsivo, meccanico e artificioso, dall’altra la delicatezza, la purezza, la spontaneità sospesa e timida dell’innamoramento (“Mi piace il tuo sorriso”- “A me piace come cammini”); da una parte l’uomo, dall’altra la donna.
E i momenti forse più significativi sono quelli in cui Maggie cammina per strada, lentamente, caracollando attraverso una musica metallica e nebbiosa, come persa in un mondo che non ha più bisogno di lei, che lei non può più aiutare - almeno all’inizio, almeno all’apparenza.
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