Regia di Roy Andersson vedi scheda film
Cinquanta piccoli quadri di storie che mimetizzano nel non sense i macroscopici disagi della vita, colori virati verso l’azzurro e il verde, città grigie, istantanee di naive infelicità. Andersson, teorico del “cinema del trivialismo” è anticonvenzionale non narratore ed anarchico vate dell’ incoerenza o della coerenza della non narrazione. Bisogna abbandonarsi al surreale senza pretendere una logica consequenzialità degli eventi, egli è pittore di anime in movimento definiti dallo spazio, le inquadrature, come pesci antropomorfi in un irreale onirico acquario.
La musica originale si fonde alle immagini formando un tema coeso con l’opera, richiama al jazz, gli ottoni pomposi scandiscono tempi dispari di geniali dissonanze armoniche. I personaggi vivono in controtempo, seguono la jam nell’inconsistenza diafana della vita che interpretano: il lamento dell’esistenza tra tragedia e sulfurea comicità mai consolatoria, dal retrogusto amaro ma dal tocco leggero e consapevolmente beffardo.
Film di impianto teatrale, dal sorprendente sapore beckettiano nel gusto dell’assurdo e quel rarefatto scorrere temporale che non muta l’esistenza dei bislacchi personaggi in scena, bloccati nella surreale consapevolezza del non senso dell’esistenza stessa. Consapevolezza che si materializza nei misteriosi bombardieri in volo sulla città, in arrivo come Godot non è mai arrivato.
Bizzarro senso della comicità, felice pessimismo, ritmo scandinavo, stupefacente e personalissima sensibilità per l’inquadratura e la composizione fotografica delle scene. Film di rara ironia e bellezza, peccato che siano rare anche le copie fruibili dal pubblico. Solita cecità del sistema distributivo.
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