Regia di Fabrizio Bentivoglio vedi scheda film
Caserta, 1976. Il giovane Faustino si arrangia, vorrebbe fare il musicista, ma per saltare il militare ha bisogno di un contratto vero. Quello che gli promette l’impresario Niro, molto gasato perché da Milano sta arrivando il grande direttore d’orchestra Augusto Riverberi, a tutti noto per la storia d’amore con Ornella Vanoni. Con quest’acqua e questo vento, si suona comunque e ovunque, poi il maestro si affeziona al ragazzo (lo chiama Johnny con nonchalance sopra le righe, tipicamente milanese) e quando le cose vanno male lo invita su al nord, dove c’è ancora la nebbia dei film di Visconti e ci si perde in tutti i sensi. All’inizio, Lascia perdere, Johnny! pare il tipico film di Domenico Procacci (mai “semplicemente” un produttore): voce giovanile fuori campo, confezione ammiccante, fotografia ricercata di Luca Bigazzi, clima da Italian Graffiti a metà strada tra Radiofreccia e Ora o mai più. Persino il cast (Valeria Golino, Ernesto Mahieux, Toni Servillo, lo stesso Bentivoglio) porta inciso in faccia il marchio della sua factory. Dopo un po’, però, il discorso si fa meno banale e una sottile inquietudine entra sottopelle. Sta a vedere che questo romanzo di formazione apparentemente scanzonato finisce per essere una specie di Imbalsamatore solo un po’ più lieve. Il percorso dei rispettivi protagonisti è praticamente uguale, così come la nebbia. Fabrizio Bentivoglio, al suo esordio come regista di un lungometraggio, ci aggiunge la passione per la musica, la descrizione non proprio clemente di un sottobosco di arruffoni e raccomandati, papponi e dirigenti come da sempre se ne vedono in Rai dietro le quinte (talvolta davanti, nelle prime file). Ma anche il ritratto di sognatori sinceri, musici popolani verso i quali celebri narratori dello strapaese (da Piero Chiara in giù) hanno avuto un occhio di riguardo. Come il bidello freak Servillo Toni o il crooner vesuviano Servillo Peppe, figure eroiche e dolenti di mille feste di piazza di cui forse, ai margini del circo mediatico, nelle realtà provinciali, non si è ancora persa memoria. Una piccola sorpresa, per nulla innocua.
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