Regia di George Hickenlooper vedi scheda film
Quando si ha a che fare con opere biografiche che fungono da pretesto per raccontare un’epoca piuttosto che concentrarsi esclusivamente sui singoli personaggi c’è sempre il grosso rischio di mettere troppa carne al fuoco. Purtroppo “Factory Girl” è fragorosamente caduto in questo tranello.
È uno di quei film dove si salva (quasi) solo il cast (ma dove il cast non basta a salvare il film), da Sienna Miller, ottima Edie Sedgwick a Guy Pearce, “sosia” di Andy Warhol che ce la mette tutta ma dà solo corpo a un mero personaggio-stereotipo.
Proprio qui iniziano le grane perché, collegandomi a quanto detto all’inizio, il regista utilizza come pretesto la storia dell’ingresso di Edie nella factory di Warhol per tirar dentro un’eccessiva mole di personaggi tra i quali un Bob Dylan che, per assoluta mancanza di spessore, pare quasi uscito da un episodio di OC.
Una sbrigativa, superficiale e dubbia (in quanto ad attendibilità) rappresentazione di una Factory spietata, vista non come “fabbrica” di creatività, ma come luogo di individui sfruttati in nome delle tendenze, covo di illusioni nel quale precipita un’“Alice nel paese delle meraviglie” destinata a rimanere vittima del sistema.
Warhol si rivolta nella tomba, noi ci mettiamo le mani nei capelli e speriamo che in futuro temi del genere vengano trattati con più tatto. Altrimenti, tanto vale vivere di nostalgia e rispolverare le perle dirette dal Nostro negli anni d’oro della sua carriera: “Vinyl” (1965) su tutti.
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