Regia di Etgar Keret, Shira Geffen vedi scheda film
A volte mi capita di usare il termine "minimalista" a proposito di cinema anche se in realtà non sono ben sicuro di cosa voglia dire. Ho sempre pensato che fosse "minimalista" quel film in cui la messa in scena è ridotta all'osso. Ma un film che non pensa "in grande" non necessariamente è un brutto film, dunque un film "minimalista" può essere un buon film. Perchè questa premessa? Perchè forse questo film potrebbe essere definito con quel termine, nel senso che non ha snodi narrativi clamorosi, è un film pacato, tenue, senza emozioni forti. Quindi un film "piccolo" ma con una serie di elementi che lo rendono "grande", ed essenzialmente grazie ai personaggi. Ecco, diciamo che lo sceneggiatore (che poi coincide con uno dei due registi) ha costruito dei personaggi tutti molto interessanti. Recensendo "Ai confini del paradiso" avevo scritto che si intuiva che Fatih Akin aveva creato i suoi personaggi "con amore": ecco, io forse ho una visione un pò romantica della faccenda, ma quando dei personaggi sono interessanti e coinvolgenti mi piace pensarli come un parto felice degli sceneggiatori, delle loro creature messe al mondo con amore...In questo film le protagoniste sono 4 donne e 1/2...dove il "mezzo" è rappresentato da una incredibile bambina piccina piccina che non dice una parola, ma osserva e basta, salvo poi sparire improvvisamente nel nulla; abbiamo dunque: una giovane cameriera inquieta alla ricerca di un pò di equilibrio che manca alla sua vita, una sposina un pò capricciosa che si rompe una gamba proprio il giorno delle nozze, una scrittrice misteriosa che nasconde un progetto segreto, e una badante filippina col cuore colmo di nostalgia per il suo paese lontano e che subisce con estrema dignità umiliazioni e sfortune. Si parla soprattutto di solitudine ed incomunicabilità, con approccio tragicomico, ma sempre con netta prevalenza di toni lievi e collocando le protagoniste in uno scenario irreale, lontanissimo da quell'immagine drammatica che noi europei abbiamo di Tel Aviv, senza tracce di guerra e terrorismo, quasi fosse un paese fatato oppure un luogo dell'anima. E questo non va visto come un ignorare la realtà ma come un voler evidenziare che i sentimenti di queste donne (guerra o non guerra) sono gli stessi di tutte le donne di ogni parte del mondo. Da sottolineare un dettaglio non da poco: i due registi (marito e moglie) in realtà sono scrittori e intellettuali, non erano mai stati dietro la macchina da presa e dunque hanno dovuto improvvisarsi registi, dato che non erano soddisfatti di come altri avevano intenzione di mettere in scena questa loro sceneggiatura. E il risultato non dev'essere poi male se il film ha già incassato il premio "Camera d'Or" a Cannes 2007. Detto per inciso, se possiamo vedere il film in Italia lo dobbiamo al buon gusto di Nanni Moretti che ne ha curato la distribuzione nei (pochi, immagino) cinema italiani. Film breve, solo 78 minuti, che non annoia e soprattutto è di piacevolissima visione.
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