Regia di Robert Zemeckis vedi scheda film
Non è difficile osannarlo, basta puntare la lente sulla questione teorica del motion capture: il digitale applicato all'umano, la vittoria finale dell'umano proprio sul digitale (o no? o viceversa?), Zemeckis che ancora fa (ri)nascere il cinema - o una sua "nuova forma" - con un vertiginoso carrello all'indietro come in Contact, e via discorrendo. Ma tutto questo deve per forza essere (ancora) avvalorativo? Ho molti dubbi, e lascio la questione alla critica più selvaggia, quella che pensa sempre in grande. Né, d'altro canto, è facile liquidarlo, Beowulf: perché qua e là fanno capolino un'idea o anche soltanto (soltanto?) un'immagine - appunto - che destano dal torpore, rialzano la palpebra, catturano una mente sopita dopo la partenza in quarta. Forse non ogni cosa che interessa appartiene già al testo, il più antico poema epico sopravvissuto in lingua inglese. Zemeckis pare metterci del suo, basta soltanto la sequenza finale, bellissima, verhoeveniana nell'offerta di un'ambiguità che appartiene atavicamente al mondo e all'uomo (e la musica di Alan Silvestri riecheggia in quel momento l'indimenticabile Jerry Goldsmith di Basic Instinct). Però la questione resta aperta: servono anche romanticismi cinefili simili a convalidare una qualità, un merito? Tante perplessità, poche certezze. Il tempo farà il resto.
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