Regia di Ben Affleck vedi scheda film
Il dubbio, la necessità di prendere un posizione, di schierarsi da una parte o dall’altra, infine scegliere, tra la morale, la giustizia e la verità.
Gone baby gone è un opera completa e di assoluto spessore che dietro la facciata rassicurante del genere ci spinge a riflettere su tematiche importanti e problemi primari, pone domande difficili che non trovano risposte, perché le prospettive di giudizio cambiano a seconda dell’angolo, sempre contorto, di osservazione.
Esordio col botto per il giovane Ben Affleck, il belloccio di Hollywood adatta un romanzo del quotato Dennis Lehane e dopo Mistic River (portato sul grande schermo da Eastwood) torna protagonista la città di Boston (Dorchester), la gente comune e i quartieri malfamati, la società di oggi raccontata dal basso, le contraddizioni infinite di un quotidiano che non è più finzione ma specchio della realtà, basta aprire la finestra e osservare.
“Da bambino chiesi al mio parroco: come si fa ad andare in paradiso e al tempo stesso proteggersi da tutto il male che c’è nel mondo? Mi rispose con le parole che Dio disse ai suoi figli: eravate pecore tra i lupi…siate prudenti come serpenti, ma puri come colombe”
La piccola e bellissima Amanda sparisce nella notte, la città si mobilità per ritrovare questa ennesima vittima innocente, per dare una speranza alla madre tossicomane e inaffidabile gli zii della piccola ingaggiano due investigatori del posto, il loro contributo in collaborazione con le autorità di polizia risulterà alla fine decisivo.
Patrick Kenzie (Casey Affleck) e Angie Gennaro (Monaghan) sono due detective privati agli antipodi, giovani e inesperti alla fine decidono di accettare il caso, le incertezze maggiori sono quelle di Angie che si dimostra più lungimirante del suo collega e compagno, il rapimento di una bambina non rientra per niente nei loro standard lavorativi e di fatto significa affrontare realtà scomode e pericolose.
Gone baby gone si giova di un soggetto complesso e sfaccettato, la vicenda thriller del rapimento fa solo da sfondo ad un affresco ben più ampio, un’analisi onesta dell’umana fallibilità e del male come entità assoluta e senza forma, alla fine del percorso filmico non saranno concesse risposte allo spettatore, semplicemente perché risposte non c’è ne sono.
Tutto il film si regge sull’interpretazione di Casey Affleck (assoluta rivelazione), il suo è un personaggio perfettamente in bilico tra fragilità e forza, tra certezze e dubbi, si muove nel sottobosco criminale di Boston con la sicurezza del veterano, ma in realtà nei suoi occhi, e in quelli della sua compagna, brilla ancora l’innocenza e la speranza.
Una luce che è ormai scomparsa dai volti segnati del capitano Doyle (Freeman) e del detective Bressant (Harris), uomini in guerra perenne, soldati in prima linea che nonostante l’evidenza ancora non si arrendono, bellissimo il confronto/scontro generazionale tra questi personaggi.
Il senso (il peso) del film sta tutto nel finale, in quel dialogo onesto tra il vecchio Doyle che ormai non crede più e il giovane Kenzie che spera ancora, che non vuole schierarsi ma che infine dovrà farlo.
Perché a conti fatti non esiste giusto o sbagliato ma esiste solo la verità, e per quanto scomoda ci possa sembrare, bisogna accettarla, che ci piaccia oppure no.
“Adesso torni indietro, sali sulla tua fottuta macchina e poi aspetti trent’anni…ancora non sai come è fatto il mondo”
Voto: 8
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