Regia di Dani Levy vedi scheda film
Reclutato dal perfido Goebbels in un campo di concentramento, l’attore ebreo e vecchio insegnante di recitazione Adolf Grunbaum (interpretato dal bravissimo Ulrich Muhe) accetta l’incarico di addestrare il Fuhrer prima di un importantissimo comizio d’inaugurazione dell’anno 1945, studiato per ravvivare l’animo belligerante del Paese. L’ebreo venderà l’anima a Hitler e farà dono delle sue grandi qualità recitative oppure escogiterà qualcosa per sovvertire il potere nazista?
La storia è il risultato della fantasia del regista svizzero Dani Levy il quale, essendo garanzia di scherno e spirito critico, non si tira indietro di fronte alla possibilità di confondere la linea che separa il bene dal male. Senza raggiungere i risultati e i livelli di Lubitsch o di Chaplin, mette alla berlina l’ottusità e la ridicolaggine dei nazisti: vestiti di senape/giallo oro, i soldati del Terzo Reich si sparano tra loro nell’ultimo disperato tentativo di rinverdire i primi fasti del movimento, indossano occhiali colorati, hanno braccia ingessate a mo’ di saluto tedesco, sono ignoranti in geografia e impegnati in incessanti riverenze inneggianti a Hitler a ogni angolo svoltato. Un Hitler claudicante, depresso e psicologicamente debole che non esce mai dai suoi saloni o dalla camera da letto.
Il film è abbastanza ordinario e i suoi propositi umoristici riescono solo a intermittenza. Non si è osato a sufficienza per ottenere effetti che avrebbero potuto essere devastanti se solo si fosse fatto ricorso a una demenza surreale e straniante nel tratteggiare tutti i personaggi, che invece cedono spesso alla tentazione di apparire come reali e storicamente veri. I dittatori, in questo modo, risultano destituiti ma rischiano di suscitare simpatia.
La confezione metodica ci regala una Berlino fotografata in esterni da fondali creati con la computer grafica che sembrano un quadro (da dietro il quale, all’occorrenza, si spia) dipinto con acquarelli e da immagini volutamente sgranate come se si fosse voluta dare l’impressione di realizzare un documentario.
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