Regia di Adriano Celentano vedi scheda film
Con questo film inizia ufficialmente la nuova carriera da cinetelepredicatore di Celentano, tanto autoreferenziale ed autocelebrativa da cominciare addirittura con la propria transustanziazione nel figlio di Dio reincarnato e tornato sulla terra.
Ho voluto rivedere Joan Lui a quasi trent'anni di distanza da quando ebbi la malaugurata idea di andare a vederlo al cinema. E, a tanti anni di distanza, non perdono al Molleggiato la delusione che dette al mio amico Gabriele, convinto di andare a vedere uno di quei film con Celentano per fare quattro risate. Il mio amico era infatti uno spettatore poco esigente, che da un film pretendeva alternativamente che facesse ridere o che vi si sparasse (che fosse guerra o caccia al cinghiale cambiava poco).
A me Celentano era sempre piaciuto poco, anche nelle commedie tipo Il bisbetico domato o Innamorato pazzo: figuriamoci in questo pastrocchio cristologico, infarcito di canzoni dal tono apocalittico e dal contenuto catastrofico, quasi tanto quanto gli esiti artistici e credo anche commerciali del film.
Penso che il peggior difetto di Joan Lui sia la presunzione, quella che fa arrampicare il regista/protagonista sul pulpito, per rivolgersi ai reprobi cittadini/spettatori quasi sempre con il voi accusatorio da profeta, da inquisitore, da Savonarola da strapazzo. E quando il pulpito si disfa sotto i piedi del predicatore, facendogli battere una sonora culata al suolo, si prova la soddisfazione di farci una bella risata (quella che rimase strozzata in gola al mio amico Gabriele) e magari di spernacchiarlo ben bene.
Spaesati ed inevitabilmente stralunati risultano quasi tutti gli interpreti, tra i quali salverei il solo Gian.
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