Regia di Gregory Hoblit vedi scheda film
Un caso estremo: la scarsissisima qualità cinematografica lascia aperto il dubbio se questo film sia semplicemente un legal thriller non riuscito, oppure la riduzione volutamente fumettistica di una vicenda di cronaca giudiziaria, ad uso e consumo dello spettatore, diciamo così, poco esigente.
Vi si narra l'epopea di un rampante giovane avvocato, dall'aria sbarbatella e dalle espressioni gravi, chiamato a sostenere la pubblica accusa contro un anziano, cinico ingegnere aeronautico, che ha sparato alla moglie poiché questa lo tradiva con un poliziotto. Imbarazzante la figura caricaturale del vecchio scienziato, interpretata da Anthony Hopkins, che guida un'auto da corsa, descrive i suoi stati d'animo paragonandoli a "forze geofisiche", passa il tempo a costruire bizzarri marchingegni con le biglie, e, nel suo atteggiamento complessivo, pare una versione addolcita del Doctor Lecter, quasi una sua riedizione epurata ad uso dell'infanzia.
I dialoghi sono forse il punto più dolente: una serie di botta e risposta da cartoon "impreziosita" da "rare" perle di saggezza, di ispirazione rurale (ognuno ha il suo punto debole, come le uova di gallina), biblica (una prova estorta è come "l'albero velenoso" (sic!) di Adamo ed Eva) e scientifica (anche l'orologio fermo segna l'ora esatta due volte al giorno). Per il resto, per dare un'idea del tenore dialettico dei colloqui tra gli investigatori, basta citare le seguenti poche battute:
- Ti hanno chiamato a casa della tua ragazza...
- Non sapevo che era casa sua..
- C'era scritto il cognome!
- Ma io non conoscevo il suo cognome, non quello vero, almeno.
Anche qui la perplessità è d'obbligo, visto che i momenti culminanti dell'indagine sono: - la notte che l'avvocato passa all'ospedale, per leggere un libro di favole alla vittima in coma, nella speranza che questa si risvegli e possa testimoniare; - il momento in cui l'agente amante della vittima suggerisce di fabbricare una falsa prova balistica, approfittando del fatto che l'addetto all'ufficio reperti "gli deve un favore". Gli autori, inoltre, paradossalmente, evitano di soffermarsi sulla fase processuale, che avrebbe dovuto essere il fulcro della storia, e, anzi, la liquidano rapidamente quasi provassero fastidio ad addentrarsi in questioni legali. Il dibattimento in aula è ridotto ad una sbrigativa farsa: alla seconda udienza, l'imputato, che si difende da solo, chiede il proscioglimento, ed il giudice acconsente subito perché l'accusa non possiede neanche l'ombra di un prova (!) . Nemmeno il colpo di scena finale (o presunto tale) risolleva le sorti del racconto: l'avvocato (evviva!) ha capito dov'è l'arma del delitto, mentre purtroppo la donna è morta, quindi il processo si riapre, ma, ahimé, proprio in questo punto il film si interrompe. E' davvero il colmo. Da restare senza parole.
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