Regia di Carlo Vanzina vedi scheda film
Non bastano un Abatantuono in splendida forma e una Sabrina Impacciatore sempre più sicura e poliedrica a salvare quest'Armata Brancaleone ancor più cialtronesca e cafona della Beneamata filmata lustri addietro da Monicelli. Si dirà: segno dei tempi. In realtà il difetto è nel manico, di una regia sciatta e senza ritmo (caratteristiche endemiche di Carlo Vanzina) e di un copione dove, oltre al regista e al fratello Enrico, c'ha messo lo zampino (ahinoi) anche il Califfo Diego. Che spadroneggia in un poverismo che rimane tale e quale nello scambio con lo spettatore. L'idea non era affatto peregrina: catapultare l'Italia una cinquantina d'anni in avanti e due secoli dopo l'Unità griffata Mazzini, Cavour e Garibaldi, senza benzina e senza speranze a causa di una guerra atomica che ha riazzerato ogni cosa. E così, ecco di nuovo i Comuni e le Contrade, lo Stato Vaticano e i Granducati Cecchi Gori e Della Valle, il Muro sul Po che rigetta i terroni e gli africani in pieno possesso dell'ex Regno delle Due Sicilie. Spunti che andavano, seppur in un contesto comico, approfonditi e dispiegati in maniera un tantino più articolata. Qui ci si arena subito, al primo sviluppo narrativo. Al punto che viene voglia di rivalutare le veloci regie di Neri Parenti e dei suoi cinepanettoni natalizi.
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