Regia di Paul Greengrass vedi scheda film
Forse non è ancora chiaro ai più (i critici, ovvero i fissati lynchani, i cronenberghiani d.o.c., e neanche ai manniani) quale cambiamento abbia apportato Greengrass all'action e allo spy-story. Sta di fatto che Matt Damon dopo aver lavorato con Greengrass non è più stato lo stesso, è diventato un altro, è stato diretto come Dio comanda ed ha trovato la sua dimensione. Prima era inguardabile. Ma, si sa, l'attore è nulla senza il regista. Greengrass adotta un stile che si potrebbe definire "globalizzato", che impone l'immagine come dispositivo organico muovendosi a 360° nell'inquadratura, il montaggio frammenta questo dispositivo e lo spara in modo subliminale all'occhio e che registra una molteplicità di immagini non più riconponibili. Questa è l'idea di caos sistematizzato secondo Paul Greengrass: l'occhio registra un'immagine che la mente non riesce ad elaborare. La prova di Matt Damon e dell'intero cast (David Strathairn, Joan Allen, Albert Finney, Scott Glenn) fungono da perfetto manifesto contundente all'idea di sovrapposizione di più livelli di complessità narrativa, che rendono i due capitoli di Jason Bourne di Greengrass qualcosa di indefinibile ed oltraggioso.
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