Regia di James Mangold vedi scheda film
C'era una volta il cinema western. Ogni tanto capita che, per fortuna, ritorna il genere che alla settima arte ha dato tanti capolavori e autori importanti, da Leone a Eastwood. Non è un caso che al Festival del cinema di Venezia di quest’anno la retrospettiva era sul western all’italiana. Negli ultimi anni, tale genere, s’era come un po’ spento, salvo riaffacciarsi di tanto in tanto per mezzo di opere molto interessanti, fra le ultime Brockback mountain e Le tre sepolture, prima regia dell’attore Tommy Lee Jones.
Ora è la volta di James Mangold, che, riportando sul grande schermo Quel treno per Yuma, pellicola del 1957 tratta da un racconto di Elmore Leonard e diretta da Delmer Daves, riporta nuova vita al western vecchia maniera, insistendo, rispetto alla versione del film del ’57, sulla durezza del linguaggio e nella violenza, ma lasciando come l’originale l’atmosfera da western classico.
Infatti, con lo sguardo dei grandi registi, che in tal genere hanno dato il meglio di sé, Mangold racconta le avventure di Dan Evans, un allevatore messo alle strette dalla siccità e dai debiti, che assiste fortuitamente alla rapina messa in atto dalla banda capeggiata dal famigerato Ben Wade, ai danni di una diligenza portavalori. Lasciato libero di andarsene, Evans si reca in paese per chiedere una proroga ai suoi finanziatori, ma lì incappa nuovamente in Wade, che grazie ad uno stratagemma aveva depistato lo sceriffo e i suoi uomini. E quando il bandito viene sorpreso in un saloon, Dan, ottimo tiratore, in cambio di denaro si offre di scortarlo sino al treno che porta a Yuma, dove il fuorilegge verrà assicurato alla giustizia.
Va detto subito che il grande merito di Mangold sta nell’aver riportato sul grande schermo una storia, le cui vicende ben si prestano ad una lettura della situazione politico-sociale ed economica non solo del nostro paese. Pur non essendo il regista che si diverte e fa divertire nelle scene d’azione, rimane un autore molto attento al gesto interiore ed esteriore dei personaggi, atto a offrire contenutezza visiva, sebbene funzionale all’economia del film. Ferrea e ben curata la sceneggiatura, che offre dialoghi tutti giocati fra l’ironia e l’emotività. La parte finale del film è adrenalinica, perché vi è una sorta di preparazione ad essa, mediante il lungo il viaggio notturno di Evans e suo figlio, attraverso le gole e le inside dei canyon. Tutte le vicende si svolgono in piccoli spazi, piccoli villaggi in costruzione, tra travi di legno e pilastri, che ci mostrano sempre solo l’abbozzo delle città. Ma tutto il film è un under construction, visti i tanti (fin troppi) colpi di scena.
Russell Crowe, oltre che un premio Oscar, è un attore che ancora una volta convince per la sua capacità di avere grande carisma scenico, qui nell’arte e nella parte del “puro bastardo”; semmai non lo aiuta il doppiaggio, ma quest’ultimo è un problema legato anche all’altro straordinario interprete, Christian Bale. Accanto ai due protagonisti, il resto del cast si dimostra tutto di ottimo livello.
Giancarlo Visitilli
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