Regia di Mikael Håfström vedi scheda film
Se il protagonista di Quattordici ZeroOtto (si legge così: piano dell’hotel e numero della stanza) è tipicamente kinghiano, è proprio perché lo scrittore lo voleva nel suo On Writing – Autobiografia di un mestiere. Come dire: il tòpos in un vademecum sulla retorica personale – e quindi discutibile, certo – di un lavoro. Fossimo negli anni 80, parleremmo di cortocircuito. Il Mike Enslin del bravo John Cusack è ovviamente lo Stephen King più immaginifico e anche più stereotipato, ma nel senso identitario e quindi buono. Per elaborare un lutto (oltre che per campare e per alimentare la sua fama), Enslin deve passare attraverso l’orrore, e non è detto che ne esca vivo. Più kinghiano di così. Il Dolphin Hotel è soltanto (soltanto?!) la sua mente, i condotti dell’aria i suoi ricordi, i fantasmi la (sua) materia prima. Finora lo svedese Mikael Håfström non è che ne avesse azzeccate tante, però qui centra i bersagli: quello dello spirito e della visione del mondo di uno tra i più grandi scrittori degli ultimi 50 anni (tutt’altro che svanito: provate a leggere quel capolavoro mélo che è La storia di Lisey), e quello dello spettacolo, efficacissimo, mai tirato via, ben scritto, con un paio di idee notevoli e a volte genuinamente spaventoso. Attenzione: in sala vedete il finale accomodante, mentre il dvd statunitense presenta il director’s cut con una conclusione completamente diversa e di gran lunga migliore.
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