Regia di Len Wiseman vedi scheda film
Prova dignitosa per Bruce Willis/McClane in una saga ormai alla frutta.
- Hai abbattuto un elicottero con una macchina! - (Farrell)
- Avevo finito le pallottole - (McClane)
Giunta al quarto capitolo, con diciannove anni sul groppone, la saga dei duri a morire appare sostanzialmente al crepuscolo.
Il caro, vecchio Bruce Willis, ormai noto come John McClane, fa tutto quello che può per tenere in piedi un action dal retrogusto nostalgico.
Gli sceneggiatori imbastiscono una trama nuova, più al passo con i tempi.
Gli Stati Uniti sono sotto attacco da un gruppo di cyber-terroristi che minacciano l'intero Paese.
L'hacker Farrell si ritrova, a sua insaputa, ad aiutarli nei loro intenti malavitosi. Il capo dei criminali ordina che anche Farrell, dopo tanti come lui, sia ucciso. Interviene l'intramontabile John McClane che tenta di salvare le sorti dell'hacker e dell'intera America.
Die Hard – Vivere o morire.
Diciamo che se "vivere o morire" era riferito alla saga di appartenenza, la seconda ipotesi è la più probabile.
Il grandissimo Bruce Willis è un duro anche qui e regge bene il ruolo, con una grande dignità, nonostante l'età sia ormai proibitiva per recitare ancora nei panni di un atletico e muscoloso detective che corre, spara e fa a botte con i criminali.
Il motivo di questa sufficienza risicata letteralmente regalata e altamente immeritata è proprio la presenza di Willis che ci fa rivedere il personaggio del famoso poliziotto.
Per il resto, sarebbe forse un po' ingrato dire che è tutto un disastro, ma quasi.
Ad iniziare dalla sceneggiatura, che fa acqua da tutte le parti e racconta una storia in maniera confusa e poco convincente.
Inoltre, da una scena si prosegue ad un'altra per passaggi a dir poco fortuiti e conseguenze "tirate per i capelli". Il film sarebbe altrimenti finito subito con la morte di Farrell. (vi ricordate come si è salvato nel primo attacco?).
A ciò si aggiunga la totale inadeguatezza di tutto il cast (escluso ovviamente Bruce Willis): dall'improbabile hacker che vorrebbe essere ovunque meno che sul set (Justin Long), alla figlia ribelle a cui non si crederebbe neanche se si volesse (Mary E. Winstead), ai criminali risibili e senza alcun carisma (in particolare il loro capo, interpretato da Timothy Olyphant).
Un buon passo avanti è stato compiuto negli effetti speciali (ma non era difficile), dovuto ovviamente all'avanzamento delle tecnologie tra il 2007 e l'anno del precedente capitolo della saga.
Un altro punto critico di questa pellicola è l'immortalità dei personaggi, che dopo essere stati colpiti da decine di proiettili, centinaia di calci, migliaia di pugni restano ancora in piedi come se nulla fosse (qui sono molto più immortali rispetto a molti altri film, tra cui anche i precedenti Die Hard).
Tra i punti a favore del film ci sono però lo spettacolo e l'azione, che non mancano di certo.
Ad alto impatto è ad esempio la scena in cui l'auto è lanciata contro l'elicottero: una vera goduria per i fan dell'azione come me.
Ma in fin dei conti il motivo reale di queste (esagerate?) due stelle e mezzo è che, pur tra mille difetti, bene o male lo spirito alla base della saga dei Die Hard c'è ancora tutto: muscolarità, azione, esplosioni, ironia.
Discreta la regia: il (quasi) debuttante Wen Liseman non è al livello di John McTiernan, ma tutto sommato se la cava.
Insomma, la serie dei Die Hard a mio parere era già allora alla frutta, ma poi ne è stato girato anche un quinto capitolo (che non ho visto, e lo recupererò al più presto) e si parla di un possibile sesto.
Però caro McClane, hai fatto la storia dell'azione per 25 anni.
Ma ora appendi le scarpe al chiodo e goditi la pensione.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta