Regia di Vincenzo Salemme vedi scheda film
Salemme ha una sua idea di teatro che trasporta di peso quando fa cinema: bastano pochi ingredienti per attrarre il pubblico e sono i soliti da una vita. Prendere come spunto un tema di costume, metterci una manciata di attori popolari, servirsi di uno script funzionalmente banale, lasciar perdere la regia. La sua concezione è ferma a quella dei filmetti alimentari degli anni cinquanta-sessanta. Negli anni duemila, la pappa sembra non cambiare, ma è passato di cottura. Non c’è più una risata spontanea, tutto è un deja-vu provocato dalla ripetitività delle situazioni portate in scena. La farsa non regge, questi borghesucci che si fan le corna e se la spassano non fanno ridere. Dovrebbe essere il punto di forza ma il cast è caratterizzato da una svogliatezza sciatta e mortificante, ed è un peccato sprecare Lucrezia Lante Della Rovere, Anna Longhi, Raffaele Pisu, Luisa Ranieri. Agghiacciante la fellatio che la Ranieri effettua ad un Salemme impegnato al telefono, ma non scherza la Lante Della Rovere che, memore di cotanta madre (la signora Ripa di Meana ci ha deliziato delle sue avventure sessuali non poche volte), inscena un congresso carnale con Salemme (che sembra spassarsela alla grande volando da una all’altra) tutto incentrato sul panettone (il sedere) e sulla cadenza napoletana (Un pesce di nome Wanda perdonali). Lucio Dalla aveva un sabato pomeriggio libero e produsse qualche nota per Salemme.
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