Regia di Matthew Vaughn vedi scheda film
La deriva dell’immaginario fiabesco avviene quando i mondi creati dalla fantasia di uno scrittore (in questo caso l’autore di bestseller e di graphic novel Neil Gaiman) non riescono più a diventare “reali”, ad essere autonomi nella loro struttura, indipendenti dal nostro vivere contemporaneo. Si perde così la magia e il fascino di un altrove senza tempo, una dimensione nella quale entrare per lasciarsi alle spalle il mondo come lo conosciamo.
Stardust mostra inevitabilmente quanto le possibilità della prosa fiabesca vengano ridotte a semplici meccanismi narrativi nei quali inesrire elementi dell’immaginario hollywoodiano. Non si respira più l’epica dei grandi eroi, gli occhi non si meravigliano, il cuore non palpita. Le azioni e gli oggetti non concedono nessun simbolismo, i significati delle immagini sono espliciti e senza un’ombra di mistero, gli amori che nascono non riescono a superare le ingannevoli romanticherie di un’infatuazione adolescenziale.
Quel muro che dovrebbe delimitare il confine tra realtà e fantasia, tra il semplice villaggio vittoriano di Wall e la terra incantata di Stormhold, è invece il punto di unione di questi mondi, che a conti fatti, non hanno nessuna differenza e che sembrano invece nascere ed esistere, come dicevamo, solo in funzione di un altro immaginario, quello hollywoodiano.
E in questa ottica allora divengono estremamente significativi ed esemplari i personaggi interpretati da Michelle Pfeiffer e Robert de Niro. La prima, nei panni di una strega ossessionata dalla bellezza, gioca abilmente con la propria immagine e con le preoccupazioni di un’attrice nei confronti della giovinezza che sparisce, mentre Robert de Niro si diverte a spiazzare lo spettatore ribaltando i codici comportamentali del proprio personaggio, il capitano di una nave, attraverso una ironica perfomance en travesti.
I due attori funzionano nei panni dei personaggi che interpretano perché la loro performance rimanda prima di tutto all’immaginario hollywoodiano. Al loro ruolo all’interno di questo immaginario. L’uso di una scrittura metacinematografica finisce quindi per prosciugare il mondo fiabesco di qualsiasi autonomia e peculiarità. Sintomo questo che forse ormai non è più la prosa favolistica a tessere le maglie della fantasia quanto il cinema con le sue immagini e le sue illusioni e soprattutto con la speranza che nei propri cieli di celluloide tornino a brillare le stelle di un tempo.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta