Regia di Alessandro Capone vedi scheda film
Il tema è interessantissimo, specialmente per un popolo come quello italiano educato ad un concetto di maternità stereotipato e sessualmente respressivo. (Lo devo dire. La chiesa cattolica è una palla al piede, una zavorra per l'Italia. E' causa di malesseri spirituali enormi. E' una verità che schiavizza e questo già la pone in opposizione con la verità di Cristo che invece libera. ) Il film invita, se non altro, ad una riflessione sulla maternità - un tema enorme perché tutti siamo figli. Ha a che fare con il concetto del male. Huppert è grande come al solito e io penso che sia l'attrice che meglio incarni i nostri tempi con le sue nevrosi costantemente a fior di pelle mai consolatoriamente rigirate all'americana. La regia è professionale e pulita, ispirata ai grandi maestri, ma è al quanto convenzionale e fredda - sto notando che negli ultimi tempi i registi sono piuttosto freddi, calcolatori, asettici, algidi. Sono i tempi. Anche Hitchcock era matematico nella direzione, e gli è stato rimproverato per anni, ma sapeva sempre come far uscire fuori la passione incontrollabile. La sceneggiatura non tiene, soprattutto verso il finale. Il personaggio della psicologa meritava uno sviluppo più ampio. Ci parla di una crisi che però non vediamo, non tocchiamo. Resta fuori scena. Come dobbiamo spegarlo ai produttori che il cinema non è la proposizione di una storia edificante per il grande pubblico ma è un'arte figurativa? Come dobbiamo convincerli a scommettere un po' di più sul talento visionario? I film completi sono quelli che parlano contemporaneamente al cuore (che non vuol dire sentimentalismo, romanticheria, pietismo o buonismo) e alla mente. Non ci sono solo i film che fanno ridere o che fanno piangere, in entrambi i casi, scacciapensieri catartici/consolatori in cui specchiare l'immagine idealizzata di noi stessi. Questo film ci prova senza osare, infatti, nelle ultime immagini rientra nei ranghi di una deleteria morale borghese.
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