Regia di Susanne Bier vedi scheda film
L'esordio americano della Bier, dopo una manciata di pellicole scandinave e una discreta serie di successi (a San Sebastian, a Montreal, a Boston, nonchè ai Robert, premi cinematografici danesi) ne conferma la solidità in regia e l'attitudine - fatta di primi piani e dialoghi intensi (al limite del patetico, a dire il vero) - alla ricerca interiore, emozionale dei/nei personaggi. Ancora una volta, come già in Open hearts o in Non desiderare la donna d'altri, la regista ci racconta una storia di abbandono forzato (qui è la vedovanza a costringere alla solitudine la protagonista) e di intrusione nella quiete domestica degli affetti: ma non c'è nè adulterio, nè cambio di partner, come nei precedenti film; qui la sceneggiatura di Allan Loeb fa leva sull'unione di due disperazioni e sull'impossibilità di unire due lutti, così diversi sebbene creati dallo stesso evento negativo. Oltre a ciò si aggiunge la condizione di tossicodipendente di Jerry, dramma nel dramma che finisce per sopraffare perfino il dolore per la perdita dell'amico; la morale è semplice e viene palesata nel finale: 'accettare il buono', apprezzare ciò che di positivo ci giunge dalla vita e dalle persone che abbiamo accanto, poichè quanto di negativo c'è al mondo, in fin dei conti, siamo già costretti comunque ad accettarlo. Niente di trascendentale, soprattutto per una durata che raggiunge le due ore tonde di pellicola; impeccabili i due protagonisti, Del Toro e Berry, ma in fondo sembra che questo Noi due sconosciuti cinematograficamente non sia nè carne hollywoodiana, nè pesce indipendente. 5/10.
Audrey, giovane vedova, prende in casa con sè e i figli Jerry, il migliore amico del marito defunto. Elaborando il lutto assieme, per Jerry sarà anche più facile uscire dalla tossicodipendenza. Anche se le tentazioni sono tantissime...
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