Regia di Julie Taymor vedi scheda film
Joe Cocker ubriacone, pappone e infine Hippy. Il film potrebbe valere anche solo per questo che ne è il momento più godibile, sia per l'eccezionale partecipazione del Leone di Shaffield, l'Eroe di Woodstock la cui versione di "With A Little Help From My Friends" del 16 agosto 1969 fu salutata come l'Inno del Nuovo Sentire, sia perché l'esecuzione di "Come Together" è una tra le pochissime performance davvero graffianti. Ironia, bizzarria, professionalità: le tre caratteristiche della sequenza di Cocker che, come quella di Bono dove il frontman degli U2 gigioneggia con classe insospettata, è davvero uno degli inserti musicali a sé stanti che godono di luce propria e sono il valore aggiunto del film della Taymor.
I musical sono odiosi, infatti i momenti meno piacevoli del film sono quelli più aderentemente sviluppati e coreografati come tradizione del musical vuole: "A Little Help..." è infatti insostenibile. Per il resto non è un brutto lavoro "Across the Universe", progetto ambizioso che poteva franare subito. Invece la regista prende la strada del distacco formale, inserendo contesti e situazioni tra loro diversi, personaggi che s'incontrano e si lasciano, registri dal commediante al drammatico, per evidenziare quanto fosse bella e a tratti paradossale quell'epoca. Non è revisionismo, anche se oggi si tende a ridimensionare l'imporanza della radicalità della protesta di quegli anni, forse a favore di chissà quale quieto vivere contemporaneo. E se non è revisionismo, il film fa comunque notare come in tutte le strutture politiche e sociali a volte l'Amore non sia tenuto conto, ed è di Amore che il film in fondo in fondo parla. Infatti i momenti più alti della pellicola sono quelli che coinvolgono di più l'umano sentimento di Amore, che supera la dicotomia uomo/donna ed è Amore universale. Nel primo tempo arriva "Let It Be" dove ci mostrano in montaggio alternato due morti divese, lontane e distanti tra loro, ma sempre di morti si tratta. E subito dopo arriva la "Come Together" eseguita da Mr. Joe Cocker con cui fa il paio (Cocker cantò tra le sue prime canzoni proprio "Let it Be"). Altro momento esaltante è la furia al "sapor di fragola" del protagonista in cui si sovrappongono immagini di guerra e immagini appunto della sua furia creativa, di pittore in ispirazione isterica. Cede il passo al prevedibile un'inciampo centrale della narrazione in cui il film si rilassa fin troppo, e anche il momento clou del finale sotto le note di "Don't Let Me Down", coreografato su un tetto cittadino per citare direttamente i Beatles, si risolve in un abbozzo di qualcosa di spurio. I brividi su per la schiena, invece, li fa venire la performance di Joe Anderson di "Hey Jude". L'attore, nonostante si sia detto un gran bene del protagonista, è il più incisivo tra tutti. Non solo ha il volto giusto, grazie anche ad un personaggio che doveva avere però più spazio, ma tra tutti i suoi partners canterini è quello che risolve al meglio le reinterpretazioni dei brani beatlesiani, eccezion fatta per Joe Cocker e Bono il cui mestiere si vede e si sente.
Poliziotti, militari e borghesucci e nipotini vari dello Zio Sam ne escono con le ossa rotte, e non perché le abbiano prese, ma proprio perché le han date. Il film infatti non è morbido nella caricatura di un Paese che parla di democrazia per poi non praticarla là dove e quando serve. Bellissima la coreografia dell'arruolamento di Joe Anderson, dove si respira aria di ingabbiamento e squadrismo, così come le varie animazioni, una più piacevole dell'altra, ridicolizzano quell'amor patrio, quell'amore per la guerra e la difesa dei sani valori democratici americani (ma quali?!), giocando sui "segni" di un Paese intero. Parla da sé l'immagine di quei ragazzi in mutande che calpestano la giungla vietnamita portando in spalle, a mo' di bara, la statua della Libertà. Se non è genialmente pop questo.
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