Regia di Sean Penn vedi scheda film
Mi è decisamente sfuggito il messaggio finale, quando il nostro Alex ammette che l'autentica felicità va condivisa e si riappropria della sua identità. Certo il suo viaggio è affascinante ma ci puzza tanto di ricostruito e provocatorio. A metà tra National Geographic e denuncia di famiglia (famiglia?!?) squinternata, Into the wild s'incanala in un viaggio poco realista ma dalla magia bucolica, che vorrebbe denunciare miti metropolitani ma si affida, guarda un po', proprio a quegli aloni di posticcio che andrebbe screditando: foto d'effetto, ralenty e musica sognante, tutto molto glamour fino all'ultima (e praticamente unica) vera rogna che ne interrompe l'idillio facendolo, anzi, retrocedere su diverse, precedenti, prese di posizione.
Di sicuro siamo lontani dal Degan centochiodiano che abbandona la civiltà ma con la carta di credito saldamente in tasca, Alex rifiuta la vita ordinaria pur non disdegnando toccate e fughe nella civiltà per guadagnarsi l'indispensabile a sopravvivere (ed anche per togliersi qualche sfizio new age, tipo il kayak per discendere dal Missouri – difficile da credere comunque, per uno che fino a poco tempo prima aveva paura dell'acqua... - ).
Ma anche a prescindere dai piccoli dettagli, l'interrogativo principe sorge spontaneo: se fosse cresciuto in una famiglia della middle class senza troppi casini, si sarebbe mai imbarcato per un cosi drastico ignoto? Dubitiamo tutti già a metà film… figuriamoci alla fine…
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