Regia di Sean Penn vedi scheda film
Un inno all’anarchia, alla vita dettata dalle leggi del dio ecologico. Bello questo road movie drammatico, del regista-attore-sceneggiatore-produttore, che meglio rappresenta il cinema indipendente nel mondo.
Sean Penn è cresciuto a pane e film (e lo si vede), sicuramente intervallando tale tempo con letture classiche, da Byron a Tolstoj, passando per Stegner. Di questi ha amato la descrizione paesaggistica e l’incanto solitario della natura. Quella selvaggia, oggi sempre più rara. Dalle tante visioni ha tratto quello sguardo nomade, volto alla libertà assoluta. Sulla strada di Kerouack.
La storia, tratta dal libro di Jon Krakauer, “Nelle terre estreme”, edito negli Stati Uniti nel 1996 e recentemente ripubblicato in Italia da Corbaccio, è quella vera di Christopher McCandless, un giovane laureato, che nel 1992, a soli 22 anni, decide di farla finita con una vita tutta consumo-uso-benessere, e decide di abbandonare la famiglia, lo studio e la professione, per mettersi in viaggio. Dai luoghi più solitari e selvaggi degli Stati Uniti, fino all’Alaska.
Lo stesso viaggio l’ha compiuto lo stesso regista, tappa dopo tappa, volendo conoscere personalmente tutti coloro che avevano condiviso dei momenti di quel percorso, soprattutto interiore, di Chris. Le lettere, i ricordi e gli appunti, oltre al diario di Chris, conservati dall’amata sorella, sono stati tutti messi a disposizione di Penn.
Il regista ha avuto non solo i mezzi disponibili, ma gli stessi attori, uno su tutti il giovane ed immenso Hirsch (Alpha Dog, Lords of Dogtown), che ha iniziato le riprese dopo aver perso quasi venti chili di peso ed è arrivato a pesare 52, nelle scene finali del film.
La stessa suddivisione del film in capitoli, altro non è che la scansione temporale del viaggio, inteso come una sorta di iniziazione, che fa percorrere il tragitto che va dalla nascita, alla consapevolezza di sé, fino alla morte. Penn è un regista capace di farci entrare nella stessa pelle di Chris, facendoci avvertire la sua stessa ostinazione per una scelta che predestina il restare assolutamente soli con la propria intimità, racchiusa in quattro pareti di lamiera e un tetto scomodo, oltre che freddo, di un bus abbandonato nella neve.
E’ il cinema che ci piace, perché ci fa rivivere le emozioni di John Ford, di Zabriskie Point, Grizzly Man, fino al Linch di Una storia vera. A questo si aggiungano le musiche, scritte da “quell’altro indipendente”, Eddie Vedder, che ben si modellano alla selvaggia natura degli interpreti e dei luoghi.
Rispetto a Kerouack Penn compie un passo in avanti sulla strada, attraverso la bellezza ritrovata nell’assoluto distacco dalla coppia hippie, incontrata sulla via. Trattasi della ribellione, singolare, confortata dall’epilogo: “Non è vera felicità se non puoi dividerla con qualcuno”. Il cinema che oltre a saper mostrare, fa pensare e fa più politica di un governo di cinque anni, anche se di centro-sinistra.
Giancarlo Visitilli
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