Regia di Jason Reitman vedi scheda film
Pur nella mia ignoranza, l'ho riconosciuta subito: la voce e lo stile delle canzoncine della colonna sonora è quella di Kimya Dawson, l'ex voce dei Moldy Peaches, un gruppo americano di genere indefinibile, generalmente catalogati sotto il termine in negativo di anti-folk. Il film sembra una delle filastrocche della cantautrice: un po' ripetitivo, ma che dietro alla banalità del testo, che può sembrare scritto per sedicenni un po' squinternati come la protagonista, qualcosa ci dice, in filigrana, anche sulla società americana. Dove, ad esempio, ragazzine che della vita sanno quel che hanno sentito dalle canzoni restano giornate intere fuori dal controllo delle famiglie, guidano macchine in cui a malapena toccano i pedali, restano incinte e possono tranquillamente vendere (o regalare, come in questo caso) i propri figli alla prima coppia venuta, senza che nemmeno qualcuno controlli che i genitori adottivi davvero li vogliano. E' poco? Forse, ma il regista, che sembra cresciuto a pane e Tim Burton, lo sa dire con uno stile che provoca una sensazione di tenerezza per questi personaggi, adulti ed adolescenti, assolutamente squilibrati. Qualche forzatura c'è e si sente, come nel primo incontro tra Juno e gli adottanti, in cui si dovrebbe, forse, ridere per la differenza di registri usati dai presenti, oppure l'accennata attrazione tra la protagonista e Mark Loring, oppure, ancora, l'improvvisa dichiarazione d'amore di Juno per Bleeker. Ma insomma, si tratta pur sempre di un filmetto da Sundance, meritorio festival che di solito premia operine giovanili e leggere come JUNO.
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