Regia di Sidney Lumet vedi scheda film
Il lamento di una società morente. Marcia fin nel nucleo delle sue particelle elementari, la famiglia. La putrefazione è arrivata alfine in profondità smontando le difese erette dai valori primari, quelli intoccabili una volta, ora solo chiacchiere e distintivo, necessari solo per consumarsi poco a poco sperando che il diavolo non si accorga che si è già morti. Sidney Lumet è lucidissimo a dispetto della veneranda età, firma in un film livido e disilluso la parabola shakespeariana di due fratelli in rotta di collisione con le rispettive vite, colti in una deriva morale e psicologica dagli effetti devastanti. Due piccoli corpi immersi in un liquido che si dibattono e affondano, tradendo qualsiasi legge fisica, come tradiscono qualsiasi appiglio etico alle loro azioni, movimenti sbagliati, nervosi, azioni in palese contrasto con le leggi del buon senso, ultimi spasmi di pesante disperazione nel tentativo di riaffiorare in una società liquida, rarefatta, in cui le persone sono sacrificabili, oggetti sostituibili quando non servono più. Azioni spaventose che nella disperata consapevolezza di disastro imminente assumono connotati assolutamente plausibili, accettabili. Così la cialtronesca rapina ai danni della piccola gioielleria dei genitori si svela come inevitabile conseguenza di una serie di inevitabilità mai previste, solo subite ed Andy, agente immobiliare di discreto successo, in realtà schiavo dell’eroina, bulimico di soldi che ruba alla società truccandone i conti, sposato con una bella, sciocca e infedele mogliettina e Hank il fratello minore, divorziato, all’apparenza buon padre, amante della cognata con il peccato originale di essere un fallito, affondano sempre di più, nel buio senza scampo di una società solo apparentemente civile.
Società che non ama i perdenti, li sfoltisce senza pietà alcuna. Fallito, questa è la parola che muove la storia, aggettivo che acquista un peso molecolare insostenibile e un senso ferale, di morte sociale quando viene abbinato ad un essere umano. Soldi, questa è la benzina che muove i rapporti, che genera consenso e colloca nel giusto posto l’uomo nella società delle possibilità infinite. Nel film si parla di fallimento e di soldi come di acqua e olio, non si mischiano mai, una volta scissi non si ricompongono a formare la parola Successo. E’ la fine prima della fine stessa, solo che non si riconosce subito, si è già morti ma il diavolo ancora non se n’è accorto, questo il senso del bellissimo titolo originale (Before the Devil Knows you're Dead). Quello italiano, comunque pertinente, richiama invece al quarto comandamento, Onora il padre e la madre, solo per amore di sintesi visto che i due fratelli riescono in due ore di film a violare entrambe le Tavole della Legge con disarmante sfrontatezza morale.
Un noir metropolitano, è Onora il padre e la madre, ma tutto alla luce del sole, impietoso, deflagrato in migliaia di pezzi come luce rifratta dal vetro dei palazzi in cui sono rinchiusi e costretti i due fratelli dalla psiche sconvolta e frammentata. Lumet gestisce magistralmente le inquadrature, i tempi, i corpi inscritti negli spazi, descrive la deriva partendo dal fatto in sé, relegandolo ad incipit di una storia ben più malata di una semplice rapina, (co)stringe i suoi attori in gabbie di vetro, palazzi, ambienti oppressivi nella loro ossessiva trasparenza, volgarmente voyeuristici, in cui tutto si rifrange e si moltiplica e mostra il non mostrabile. Come il coito “doggy style” di Andy con la moglie, allo specchio. Delegare ad uno sguardo terzo rispetto a sé stesso, implica un atteggiamento derivativo, conseguente a qualcosa che non possiamo controllare ma la cui assenza nega l’esistenza stessa, processo in cui qualcosa inevitabilmente si perde, giorno per giorno e la somma delle parti prima o poi finisce per non dare più l’intero. E’ la seconda legge della termodinamica applicata alla società degli uomini. Coerentemente, il montaggio del film segue questa filosofia, frammentando la narrazione in flashback viene sottolineata la confusione mentale dei due fratelli, il loro passare da un sistema d’ordine ad uno di disordine libera energia distruttiva. Frantumazione del processo narrativo e frantumazione dei rapporti famigliari: bombardata da una società allo sbando, la cellula famiglia si disgrega, spandendo atomi in tutte le direzioni, provocando collisioni a catena e altre scissioni altrettanto dolorose, inevitabili e senza speranza di redenzione. Di magistrale c’è proprio questo, la corrispondenza del tema con la forma in cui viene contenuto, anzi è la forma stessa del film, la sua sintassi geometrica, il suo logaritmico incedere verso il basso in un maelstroem di amoralità a scandirne i lemmi, poiché il film non “dice” ciò che succede: lo mostra. Ci mostra la conseguenza e poi la causa, costantemente, in un movimento ossessivamente ipnotico avanti e indietro nel tempo. Mostrando prima quello che in realtà succede dopo, nella successione degli eventi si provoca un cortocircuito emotivo per cui il fatto sembra un dejà vu frutto di una scelta scellerata e già successa, inevitabile già nel concepimento dell’idea stessa. L’uso del flasback così assume un’importanza determinante nel mostrare la consapevole discesa nell’oblio dei due fratelli, per cui le scelte che compiono sono sempre in funzione di una conseguenza già presente e ignorata, oscurata dalla follia che li guida.
Il ritorno alla luce non può essere che nella morte, nell’estirpazione del male oscuro che ha generato la tragedia. Così il padre uccide il figlio. C’è qualcosa di biblico in un gesto così estremo, riconoscere il male nella carne della propria carne ed estirparlo non è vendetta, è di più. E’ il gesto estremo di Isacco che sacrifica il figlio senza Dio che lo fermi; è il figlio che non sarà mai più prodigo e per il quale il padre non sacrificherà più il vitello grasso poiché egli non lo merita. E’ l'estirpazione di ogni radice e il distacco completo dalla vita generatrice. Il padre finalmente esce in pace, esce fasciato da un’accecante bagliore purificatore in una società un po’ più migliore di quanto non fosse prima. Il raggelante finale è secco e privo di pietà, di enfasi. E’ solo necessario. Sidney Lumet è portatore sano di una idea di cinema massiccio, potente, grande direttore di attori stringe claustrofobicamente sui loro volti la camera, salvo poi abbandonarli esausti in silenziosi e gelidi piani sequenza, pregni di desolante solitudine. Albert Finney splendido padre da onorare, nel titolo, vaga per lo schermo con il dolore trasfigurato in una maschera d’orrore. Andy è un gigantesco Philip Seyomour Hoffmann, forse il miglior attore in circolazione in questo momento. Hank è Ethan Hawke, il fratello debole, infantile e pasticcione. Marisa Tomei è la moglie infedele, bella e antivamp- pupa dei cattivi senza averne lo spessore, esibita nuda come un oggetto frutto di un passato successo e che allo svanire del successo svanisce con esso, bellezza perdente in un mondo di perdenti, di irresponsabili senza etica incapaci di prendersi le responsabilità delle loro scelte. Abitatori di una società putrefatta, ignari di essere già morti prima ancor prima che il diavolo se ne accorga. Ma forse anche a lui non gliene frega più niente e fa finta di nulla.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta