Regia di Sidney Lumet vedi scheda film
Terribilmente bello e ‘promettente’, sin dalla prima inquadratura. Il cinema di Sidney Lumet, cadenzato nel comandamento in cui l’onore e il male ammaliano, perché imprevedibili.
L’84enne regista di Serpico, Quinto Potere e Quel pomeriggio di un giorno da cani, come pochi nel mondo del cinema mondiale (Eastwood, Scorsese, Coppola), ormai confeziona dei film assolutamente perfetti: dalla regia, alla sceneggiatura, la viscerale recitazione, non tralasciando affatto neanche l’uso appropriato della colonna sonora. Insomma, la perfezione.
Il film comincia raccontando i trenta minuti della cattiva avventura che vivono Andy e Hank, due fratelli in un mare di guai finanziari. Andy, rifugiandosi nella droga e nel sesso, rifugge dalla sua vita di contabile in una società immobiliare e dal suo ruolo di marito, sposato con una donna bellissima, che lo tradisce con suo fratello Hank. Nel più completo disordine vitale, Andy ha un’idea per rimettere in sesto sé stesso e suo fratello: svaligiare la gioielleria dei genitori. Un colpo, tutto sommato facile, che fa presagire ad Hank la contentezza del paradiso economico. Ma tutto dura solo pochi minuti, il tempo di accorgersi che dietro la morte dell’anziana signora della gioielleria, c’è una tormentata sorpresa. La stessa sorpresa che vedrà coinvolto nelle ricerche il padre dei due ragazzi. Anch’egli farà la terribile scoperta del male, che come il totale, è sempre la somma delle parti. Infinito e imprevedibile.
E’ difficile dare una definizione certa di questo film: è un thriller familiare, ma anche una tragedia, un drammone psicologico, non mancano neanche delle ferree battute che rimandano alla più intelligente commedia (l’assoluta forza del mix di morte e ironia durante la rapina). La struttura scelta da Lumet è quella ormai classica per registi come lui, a flashback incrociati e sovrapposti, capace di ben definire, ma soprattutto indagare la precarietà famigliare, e attraverso essa dell’umanità tutta, in un mondo dominato dal male. Lumet, in modo maniacale, sceglie dove piazzare la macchina da presa, mettendo in scena un tono intimo, fatto di tanti primi piani ravvicinati, per scoprire a poco a poco i tratti di mostruosità dei suoi personaggi.
Ma questo è anche il film postumo in cui appare uno dei compianti attori, fra i migliori al mondo, Ethan Hawke. Bravo ed emozionante fino alle lacrime. Parte consistente di Onora il padre e la madre è da attribuire al cast, capitanato da uno straordinario Philip Seymour Hoffman, seguito da un senior doc, Albert Finney. In mezzo c’è anche la bravissima Marisa Tomei, in un ruolo non assolutamente facile, della donna fatale, in un contesto da tragedia familiare.
Alla fine, si avverte come l’esigenza di rivederlo questo film, per l’esatta percezione di quello che tutta l’umanità sta vivendo e vedendo ogni giorno sotto i propri occhi: l’indissolubilità di un male imperante e indistruttibile, sempre alle spalle. Capace di colpirti anche senza far rumore, nell’assoluta indifferenza di chi ha confuso l’onore con la spregiudicatezza e l’uso della forza. A prescindere dalla paternità, la figliolanza e la maternità, in generale, oramai perdute.
Giancarlo Visitilli
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