Regia di Sidney Lumet vedi scheda film
“Vedi, il bello della contabilità immobiliare è che puoi aggiungere cifre in fondo alla pagina o in mezzo alla pagina e tutto funziona. Così ogni giorno... e fai quadrare i conti. Insomma, il totale è sempre la somma delle parti. È pulito, è chiaro, limpido, assoluto. Ma la mia vita, quella... quella non torna. Forse... non lo so, è fatta di pezzi scompagnati e io non sono la somma delle mie parti. La somma delle mie parti non dà un intero. Un me intero”.
“Trovati una moglie o uno psichiatra”.
“Oh, la moglie ce l'ho”.
“Uno psichiatra”.
[Philip Seymour Hoffman e Blaine Horton]
Non tutti i peccati sono uguali.
New York. Hank Hanson (Ethan Hawke), divorziato dall'ex moglie Martha (Amy Ryan) e in ritardo di tre mesi con le rette del mantenimento della figlia Danielle (Sarah Livingston), ha un disperato bisogno di soldi. È suo fratello Andy (Philip Seymour Hoffman) a proporgli l'affare perfetto per uscire dalla crisi. Una proposta, oltre tutto, conveniente per entrambi, perchè anche Andy, contabile in rovina di una società immobiliare, tossicodipendente e sposato con la donna, Gina (Marisa Tomei), con cui ha una relazione Hank, affonda in un mare di debiti ed è in cerca di una svolta (“Voglio chiudere con questa vita e rifarmene una nuova”). La sua idea è folle:
“C'è un posto che possiamo ripulire. Lo conosciamo come le nostre tasche. Soldi facili, insomma”.
“Ma che storia è?”.
“Stiamo parlando di 600.000 dollari. E sono assicurati, quindi non ci sono vittime: lo dico solo nel caso ti facessi qualche inutile scrupolo da donnetta. Posso riuscire a spuntare 20 centesimi a dollaro. Fanno 60.000 a testa, prendere o lasciare”.
“Non posso credere che sia tu a parlare”.
“Beh, credici”.
“Una cosa sicura: nessuno si fa male, tutti ci guadagnano. È perfetto”.
“Perchè?”.
“Tu non hai bisogno di soldi?”.
“Certo che ho bisogno di soldi, ma questo è un reato grave, Andy. Non sono un tipo da reati gravi, ho una figlia”.
“Sei nei guai! Sei in un mare di guai: lo dici tu stesso continuamente, tutti i giorni. Sai una cosa? Non è un reato grave come pensi. Sei il mio fratellino, fidati di me”.
Si tratta di rapinare una gioielleria (“Non vogliamo Tiffany, ma un negozio a conduzione familiare, in un posto frequentato, un sabato, quando gli incassi della settimana sono in cassaforte”): una gioielleria dove hanno lavorato entrambi e di cui, perciò, conoscono ogni segreto, dalla combinazione della cassaforte alla posizione degli allarmi. La gioielleria dei loro genitori, Charles (Albert Finney) e Nanette (Rosemary Harris).
Andy trascina Hank nel suo piano, gli anticipa 2.000 dollari e gli affida il compito di svaligiare il negozio di famiglia. Hank ha paura e ancora qualche scrupolo di coscienza: alla fine, all'insaputa del fratello, decide di assoldare un complice a cui delegare il “lavoro sporco”. Il giorno della rapina, il disastro. Nel locale, infatti, il prescelto per il colpo, Bobby (Brían F. O'Byrne), un amico di Hank, avrebbe dovuto trovare l'ultrasessantenne Doris, la commessa del sabato (“È cieca come una talpa”...): quella mattina, invece, ad accoglierlo nella gioielleria c'è Nanette. Sono entrambi armati, scatenano una sparatoria, Bobby muore sul colpo, Nanette dopo essere finita in coma in ospedale per le ferite. Andy e Hank sprofondano all'inferno.
Onora il padre e la madre (in originale Before the Devil Knows You're Dead, da un proverbio irlandese), regia di Sidney Lumet, oltre cinquant'anni di carriera dagli esordi televisivi nel 1951 al primo lungometraggio nel 1957, La parola ai giurati, di cui quest'ultima sua fatica costituisce paradossalmente il perfetto contraltare (dall'ottimismo alla disperazione di un'umanità senza scampo): un'istantanea crudele dal ciglio del baratro, una spietata e implacabile discesa agli inferi, una vicenda nerissima sospesa tra melodramma e tragedia, follia e black humour, amore e morte, uno sguardo gelido e beffardo su quel che resta dell'uomo americano del/nel nuovo millennio, cannibalizzato da inganni e tradimenti, individualismo, avidità e frustrazione, ispirato dallo script a orologeria di Kelly Masterson (ex studente di teologia che abbandonò il seminario per dedicarsi al teatro: qui è al debutto nel cinema con una sceneggiatura scritta nel 1999), in cui risuonano gli echi del Tarantino di Pulp Fiction (la sequenza con Hank e Bobby in macchina la mattina della rapina) e dei labirinti di Nolan, ma anche, senza voler scomodare altri illustri precursori, di Fargo dei Coen (evocati anche dalla colonna sonora di Carter Burwell), Soldi sporchi di Raimi e, non ultimo, Sogni e delitti di Allen, il taglio sempre incalzante del racconto, scandito ed esaltato dagli/negli andirivieni temporali dei flashback e flashforward (e subito torna alla memoria un gioiellino di Lumet del 1971, Rapina record a New York, orchestrato magistralmente già allora su una narrazione tutta scatti, ribaltamenti e sussulti), la magnifica colonna sonora di Carter Burwell, gli scorci in esterni di vita metropolitana nelle strade di New York (ma l'umanità che la popola è quella sordida di L'uomo del banco dei pegni) “impressionati” nei tagli e colori seventies della fotografia in digitale di Ron Fortunato (alla seconda collaborazione con Lumet dopo il precedente Prova a incastrarmi), un incipit memorabile e un finale agghiacciante, un cast strepitoso, con una splendida Marisa Tomei nel ruolo più sexy della carriera e un superbo Philip Seymour Hoffman, l'inquadratura obliqua di Andy e Hank, seduti uno di fronte all'altro nell'appartamento di Hank (“Siamo in un guaio. Il peggior guaio immaginabile: te ne rendi conto, vero?”), poi i brevi movimenti della macchina da presa per avvicinarsi ai due fratelli e annunciarne la definitiva discesa agli inferi.
“Il mondo è un luogo malvagio, Charlie. Alcuni sanno sfruttarlo e ci guadagnano, altri vengono distrutti”.
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