Regia di Marco Martani vedi scheda film
In alcuni paesi (come nel mio) si festeggia il Carnevale con una sfilata di carri allegorici. Poiché non ci sono più gli artigiani di una volta, si riprendono i pupi realizzati negli anni precedenti, si piazzano sulle medesime strutture e si mettono su carri alquanto bolsi in cui gli stessi pupi sono riadattati, verniciati, truccati in modo diverso. Se hai occhio attento, ti rendi conto immediatamente della mancanza di originalità e di pressapochismo. Cemento armato sembra proprio uno di quei carri allegorici. L’operazione di Lucisano è semplice: riciclare le facce vincenti dei suoi due blockbuster Notte prima degli esami ed inserirli in un contesto diverso. Un contesto nero, un nero de Roma come tira oggi, un po’ tarantinato e un po’ anti-mocciano. Il film non regge. Per un semplice motivo: manca di una sua ragione di esistenza. Cosa lo muove? Cosa vuole rappresentare? Pur non essendo tutto da buttare, Martani conosce i palati poco fini del suo pubblico di riferimento (dopo anni e anni di cinepanettoni a gogò) e allo stesso tempo ha una discreta cultura cinematografica, che gli permette di infarcire il prodotto con elementi pretenziosamente autoriali. Del Romanzo criminale a cui vorrebbe bagnare il naso, mancano il sudiciume e il cinismo del genere: alla fine non è né un action movie all’americana né tantomeno un poliziottesco alla matriciana, né noir né un thriller. Inquietante, più che altro, è leggere il nome del giallista Sandrone Dazieri tra gli sceneggiatori. Restano gli attori, forzatamente, violentemente, coattamente infilati nella periferia romana, insozzati e snaturati, accarezzati dal ridicolo involontario. Non solo lo svaporato Vaporidis, a dir poco incredibile, e una Crescentini sprecata, ma soprattutto un caricaturale ed inadeguato Faletti, che non funziona come ideale protagonista dei suoi romanzi. Eppure lo spunto non era neppure male, con la rottura degli specchietti e tutto ciò che segue, e Ninetto Davoli funziona, ma non basta.
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