Regia di François Ozon vedi scheda film
Per quanto non possa piacere François Ozon, enfant prodige del cinema francese di fine anni novanta e maturato come il più ispirato melomane d’oltralpe, non si può negare che Angel sia il suo capolavoro. Prima di essere un film, è un omaggio ad un cinema che non facciamo molta fatica a definire morto che ha i suoi numi tutelari in Bette Davis, Olivia De Havilland, Vivien Leigh, Joan Crawford. Ozon, che non è sciocco ed è anche un cinefilo sopraffino (e ci ha dato spesso modo di constatarlo), sa perfettamente che quel cinema non è più riproducibile per la semplice ragione che le cose cambiano, e allora agisce nel modo più genuino possibile: gira un film nel terzo millennio come se fosse stato girato negli anni quaranta.
Passatismo? Vintage? Gusto del retrò? Sicuramente, ma la cosa particolare di Ozon è che nulla è lasciato al caso, la filologia viene prima della credibilità (come non sorridere e al contempo colpirsi di fronte alle carrozze che “si muovono” restando ferme davanti a fondali che scorrono dietro con conclamata irrealtà?) e l’omaggio affettuoso non si trasforma in un banale esercizio di stile, bensì in una dichiarazione d’amore appassionata e competente, non scevra di un’ironia di fondo che alleggerisce il tutto con raffinata eleganza.
Basato su un romanzo di un’autrice il cui nome (d’arte) è tutto un programma, Elizabeth Taylor, il film rispecchia tutti i crismi del mélo americano a cavallo degli anni trenta e quaranta: ascesa di una donna povera ma determinata, bel mondo che non fa altro che dar feste in saloni immensi, amore destinato ad una fine ovviamente triste. La protagonista è un personaggio da antologia: scrittrice alla Harmony ante litteram, insopportabile e decisa, odiosa ed amabile, dolce ed imprevedibile.
La verace Romola Garai ne è la perfetta protagonista e ha più di pensiero rivolto a Bette Davis (gli occhi!). È un surrogato di Rossella O’Hara in una versione più limitata e contenuta, ma con le stesse caratteristiche in grado di catalizzare i gusti del suo pubblico di riferimento. La stessa Paradise, la grande casa in cui Angel va a vivere dopo i successi, ricorda in qualche modo la vastità e la solitudine della Tara di Via col vento. Vengono i brividi quando, in questo trionfo di citazionismo, riecheggia il tema che Max Steiner compose per l’imprescindibile Perdutamente tua.
Due elementi di novità: l’inaudito sedere all’aria di quel Michael Fassbender per cui oggi andiamo matti e che qui è un pittore spiantato ed arrivista, oggetto del desiderio della scrittrice; la sottotraccia omosessuale tra Angel e la sua assistente, interpretata con tenera e remissiva fermezza da Lucy Russell, una faccia d’altri tempi. Lacrime a profusione nell’ultima parte, ma la nota più malinconica va a Sam Neil, che disegna con finezza e sobrietà il devoto editore di Angel: quando la moglie Charlotte Rampling (quattro o cinque scene da incorniciare) gli dice che tutto sommato lui ha sempre amato Angel, Neil sfodera un’espressione che non si dimentica. Chapeau!
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta