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La promessa dell'assassino

Regia di David Cronenberg vedi scheda film

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La recensione su La promessa dell'assassino

di FilmTv Rivista
10 stelle

Una voce legge un diario, una storia triste e consueta di promesse spezzate e non mantenute. La storia di una ragazzina arrivata a Londra dall’Est, violentata, drogata, prostituita, morta in ospedale mentre nasceva la sua bambina. Un’ostetrica di origine russa si mette alla ricerca dei suoi parenti per affidare loro la bambina e arriva dritta a una delle fratellanze russe più potenti di Londra: la “Vory V Zakone” (più o meno, “ladri nella legge”), guidata da un uomo anziano dall’apparenza bonaria e dal cuore di ghiaccio, Semyon, proprietario di un ristorante sontuoso, padre e capobanda spietato. La storia di La promessa dell’assassino è tutta qui: è già successa. Tutti hanno già un ruolo immutabile, assegnato loro dalla nascita, dal denaro, dalla nazionalità, dal sesso, dal “colore” nel quale vivono immersi, il nero e le ombre di una metropoli notturna e violenta (e il porpora e l’oro della “facciata” rappresentata dal ristorante con i suoi riti), e i pastelli suburbani della gente “perbene”, tutt’altro che separata e immune, anche se non lo sa, dagli orrori quotidiani che si consumano in città. Tutto ritorna, anche qui, come in A History of Violence, peccati, condanne, connessioni riemergono dal passato, padri e figli si detestano, i servizi segreti s’intrecciano con le mafie, far perdere le proprie tracce è impossibile. Per questo il film di Cronenberg comincia con una storia già terminata, alla cui conclusione manca solo un pezzettino di giustizia (la salvezza di una neonata), e rifiuta categoricamente di raccontarne un’altra. Alla fine del film, il protagonista Nikolai, un autista-killer al servizio di Semyon, non ha più nemmeno un riquadro di pelle libera dai tatuaggi che raccontano la sua storia criminale; non ha futuro se non quello imposto dalle stelle incise sulle sue scapole che lo identificano come un capo. Inutile interrogarsi sull’esilità di una trama che si nega a qualsiasi sviluppo narrativo tradizionale, che vive di rapporti psicologici intuiti, consunti o mai consumati, che ha lo splendore astratto di un balletto di ruoli (sintetizzato dalla violenza carnale e letteralmente “danzata” della scena nella sauna) e il disincanto di un teorema sul mondo occidentale contemporaneo. Senza scappatoie, se non per quel sussulto di rigore morale che innesca il suo meccanismo, l’orrore di una morte ingiusta, la tenerezza di una nascita: quel sangue e quegli umori non cambiano la Storia, ma aiutano a restare vivi senza vergognarsi.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 51 del 2007

Autore: Emanuela Martini

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