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La promessa dell'assassino

Regia di David Cronenberg vedi scheda film

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La recensione su La promessa dell'assassino

di chinaski
8 stelle

Una ragazzina sporca e vestita male entra in una farmacia. Chiede aiuto. Vuoi del metadone? – domanda una voce. La ragazzina sviene in una pozza di sangue che si forma tra le sue gambe.
Emorragia interna. La ragazzina è incinta, viene ricoverata. Nasce una bambina, la madre muore. Assiste al parto Anna (Naomi Watts), un’ostetricia di origini russe. Anna trova un diario, nel quale la ragazzina aveva scritto parte della sua vita. Nel diario c’è anche il biglietto di un ristorante. Anna vi si reca per chiedere notizie sulla ragazzina e la sua famiglia. Il padrone del ristorante, Semyon, occhi di un blu intenso, sembra un tipo affabile e tranquillo. Dice che non ne sa niente e si offre di tradurre il diario, scritto in russo.
Le pagine di quel diario sono piene di promesse. Quelle che vengono fatte a tanti adolescenti dell’est e non solo. Le promesse di un mondo migliore, il nostro occidente. Le promesse di una vita più bella, semplice, lontana dalla miseria.
Le pagine di quel diario sono piene di orrori. Della realtà del nostro occidente. Di ragazzine che vengono comprate, stuprate, drogate, trattate come spazzatura. Spazzatura bianca.
Dalle pagine del diario emerge che il padrone del ristorante e suo figlio non sono proprio delle brave persone. Quel diario potrebbe essere una prova contro di loro. Quel diario deve essere ritrovato e distrutto e con esso la voce di quella ragazzina.
Questo compito verrà affidato a Nikolai (Viggo Mortensen, straordinario), apparentemente l’autista del figlio di Semyon, Kirill (Vincent Cassel), in realtà un factotum della mafia russa.
Cronenberg allarga la sua ultima riflessione sulla violenza (A history of Violence) ad una visione della società che essa ha generato. Un mondo in cui i deboli non hanno possibilità di farcela e in cui le regole sono dettate da chi è più forte. L’ambiente malavitoso, quello della mafia russa a Londra, perde qualsiasi connotazione romantica o morale per diventare un’espressione dei più bassi istinti animali. Violenza e sopraffazione. La donna come mero oggetto sessuale, come corpo da riempire. Il sesso diventa manifestazione maschile della propria eterosessualità. Si scopa per non essere visti come froci. Tra i malavitosi non esiste più un codice o delle regole. Si uccide, si tradisce, si vende in base ai propri interessi. Padri e figli in contrasto tra di loro.
Cronenberg parla di un mondo chiuso in se stesso, regolato dalle leggi della sopravvivenza. Nel quale l’unico atto morale (salvare la vita di una neonata) avviene più come un gesto di obbedienza a un nuovo capo che come una libera scelta.
Il regista sembra anche aver acquisto una scrittura filmica di rara sobrietà ed eleganza visiva. Si allontana dagli elementi più raccapriccianti della sua filmografia precedente (a cui però non rinuncia totalmente, soprattutto nelle scene degli sgozzamenti) per una messinscena più chiara, trasparente, nitida. In cui le immagini diventano portatrici, in alcuni casi, di un crudo realismo (la nascita della bambina, il bordello, la sauna). Immagini esplicite, dunque, dense di significati ma allo stesso tempo facilmente intellegibili. La loro natura filmica viene comunque ricordata, nel resto della pellicola, dall’uso della luce e dal lavoro svolto sulla fotografia. Con i colori lividi degli esterni, dell’ospedale, della casa di Anna e quelli pastosi, caldi, barocchi del ristorante di Semyon, ambiente elegante che maschera con la sua opulenza i veri affari della sua famiglia.
Cronenberg continua anche, teoricamente, a rappresentare la violenza in maniera diretta, senza mediazioni. Quindi con un effetto disturbante, che fa star male. Assistere al dolore causato o provocato (la sequenza nella sauna su tutte) trasmette allo spettatore una sensazione di disagio fisico, in cui il distacco dalle immagini sembra essere azzerato, senza misure di sicurezza (come l’ironia o la stilizzazione), proprio per svelare la vera natura delle esplosioni di violenza. E i loro devastanti effetti.
Viene anche portato avanti il discorso sul rapporto tra corpo e scrittura. Nel Pasto nudo, per esempio, era la macchina da scrivere a trasformarsi in un ibrido inquietante, a mutare in un corpo alieno. In Eastern promises è il corpo di Nicolai, invece, ad essere come una sorta di libro sul quale, attraverso i tatuaggi, si può leggere un’intera vita. Il corpo diventa la pagina, gli aghi la macchina da scrivere. I tatuaggi diventano la memoria, la storia della propria esistenza. In questo ultimo lavoro di Cronenberg sembra che la scrittura abbia un potere rivelatore assoluto. Le parole e quindi i segni e con essi le immagini diventano lo strumento della narrazione, intesa come mezzo per portare alla luce la crudeltà e la violenza degli uomini. Cronenberg non regala molte speranze, tratteggia un mondo chiuso nei propri meccanismi e lascia allo sguardo fisso di Nicolai, seduto nel ristornate (ha preso il posto di Semyon?), il peso e l’angoscia di un futuro, forse, immutabile.

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