Regia di David Cronenberg vedi scheda film
Utilizzando un impianto di genere, il gangster movie, ed una città, Londra, David Cronemberg continua a parlare di violenza come pulsione primaria dell’essere umano, raccontando le vicende di ordinaria criminalità di una famiglia mafiosa alle prese con uno scomodo diario e costretta a fronteggiare l’idealismo senza frontiere di una coraggiosa dottoressa. Il microcosmo delinquenziale inserito all’interno della comunità russa è l’ambiente ideale per vedere in azione i meccanismi che regolano l’esistenza umana. La struttura tribale come principio informatore di ogni attività, i meccanismi ancestrali vissuti come fardello psicologico, le relazioni familiari organizzate come strumento di potere sono rappresentate con sguardo da entomologo ed una messa in scena che è un referto patologico. Il determinismo darwiniano impone la sua legge attraverso l’escalation di un “uomo tranquillo”, un factotum della mafia con aspirazioni filosofiche, personaggio speculare all’imperturbabile padre di famiglia di “A History of violence”, che mostra la sua vera natura quando, in un escalation di brutalità realizzata in puro stile cronemberghiano con i corpi che si avvinghiano in un estasi di sangue e redenzione è costretto a lottare per salvare la propria vita. Come al solito il regista piega le regole del genere alle necessità della sua visione ma questa volta il meccanismo non funziona perché si lascia trascinare da un plot monocorde, più attento ai dettagli visivi (il look tatuato ed il taglio di capelli del faccendiere) che allo sviluppo drammaturgico (la bellezza bionda e angelica di Naomi Watts e la virilità nera e trattenuta del protagonista) che non aiuta l’elaborazione di quel mondo altro che si annida dietro la normalità del quotidiano. Ciononostante il pubblico del TFF come era accaduto per il deludente “Blueberry Nights” ha applaudito con convinzione i titoli di coda confermando un succube assuefuazione
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