Regia di Francis Ford Coppola vedi scheda film
Dopo un’eclisse dagli schermi durata dieci anni, Francis Ford Coppola torna al cinema con l’adattamento di un testo di Mircea Eliade e un film misterioso ed enigmatico, esoterico e romantico. Sin dai titoli di testa, la morte, costantemente rimandata dal protagonista per un capriccio del destino e degli elementi, assilla e tormenta la pellicola, rimane un’ossessione rinviata, diventa un dilemma morale e religioso. Quell’unica costante certezza di ogni esistenza, che le dona e toglie senso al contempo, sembra temporaneamente smarrirsi, vanificarsi nel perdurare delle percezioni extra-sensoriali, in metempsicosi incontrollabili, regressioni progressive agli albori dell’uomo e del linguaggio. Se Tim Roth sembra momentaneamente porsi a lato dello scorrere del tempo e lo guarda fluire da una posizione privilegiata di chi non è affetto dall’incurabile malattia dell’invecchiamento, il film non dissipa dubbi, pretende l’incondizionata accettazione della sua premessa narrativa, quel miracolo inspiegabile che deve ricevere cieca fede per essere accettabile. Ma Un’altra giovinezza non sceglie una dottrina, mira a cercare l’assonanza sincretica dell’eternità dell’anima comune ad ogni religione, quella credenza universale in un aldilà laico comunicante col mondo e con esso interconnesso, di una vicenda umana universale e durevole che i sensi non allenati non riconoscono. E nel farlo, Coppola torna sui passi della cinematografia mondiale, percorre all’indietro 2001: Odissea nello Spazio, cita esplicitamente l’onirismo irrisolvibile di C’era una volta in America, rapisce Matt Damon da The Good Sheperd, echeggia graficamente l’Espressionismo e i primi Frankenstein mentre parla di mutanti e superpoteri, lascia vagare lo spettatore nella storia del cinema e del tempo, libero di trovare i propri riferimenti e significati.
Destino e morte, vita e amore, percezione e allucinazione, la permeabilità della storia cronologica da parte dell’infinita atemporalità, tutto sembra privarsi di riferimenti precisi e di identità, le storie d’amore si ripetono mentre i corpi mutano, forze oppressive cercano di catturare l’essenza dell’eternità per sottometterla al proprio interesse. E forse anche la vita stessa non è che illusione, una fiaba deludente dal finale prevedibile, il cui significato è altrove, tra le maglie del tempo e dello schermo, dove tutto diventa plausibile. E dove è anche possibile far finta di crederci, per dimenticare il dolore della parola “Fine” che spezza ogni incanto.
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