Regia di Silvio Soldini vedi scheda film
Buon film, non c'è che dire. Di registi come Soldini ce ne sono troppo pochi oggi nel povero cinema italiano. E' una pellicola ben recitata e ben diretta, con una sceneggiatura attenta alle psicologie, che riesce a catturare i comportamenti umani con le loro sfumature e le loro motivazioni. Trovo a questo proposito molto riusciti il personaggio del collega egoista e ipocrita, che ha complottato con gli altri per buttare fuori il socio, e quello dell'”amico” che mente dicendo di aver già restituito i 3000 Euro. La loro rappresentazione è, con solo pochi accenni, tagliente e realistica. Efficace mi sembra anche il ritratto di vita coniugale dei due protagonisti, che sa rappresentare le diverse situazioni della vita di coppia, quando ci si ferisce e quando ci si perdona, quando ci si tradisce, quando si sbatte la roba e quando ci si chiede scusa. L'immagine di matrimonio che ne esce è una convivenza sì segnata da mille difficoltà, aumentate dai problemi economici, ma anche di un luogo dove è sempre giusto e possibile ritornare dopo le sbandate, e dove bisogna sempre saper perdonare.
Qualcuno afferma che il tema di questo film è la condanna il precariato nel lavoro. Secondo me il discorso è certamente presente, e in modo esteso, ma l'interesse del regista va allo studio delle conseguenze che hanno improvvise difficoltà su una coppia. Lo scossone è forte, la loro vita ne viene stravolta, spuntano paura del futuro e tensioni, e la loro tenuta è messa duramente alla prova. Bisogna però anche dire che il loro tenore di vita era stato piuttosto alto. Poi i due non arrivano alla fame, ma semplicemente devono tagliare molti consumi superflui. La difficoltà viene quindi dalla riluttanza psicologica a dover improvvisamente rinunciare a molti agi a cui erano abituati. Il film, quindi, mi sembra anche riflettere su come sia facile essere viziati dal lusso, la perdita del quale risulta ripugnante e insostenibile. Eppure si può vivere anche senza di esso, come capiscono alla fine i due protagonisti, confortati anche da un bello e simbolico affresco dell'Annunciazione. Molto bravi la Albanese e la Buy, ma anche gli altri sanno il fatto loro. La fotografia scura e la Genova piovosa si accompagnano bene alla drammaticità del racconto, che comunque il regista stempera con alcuni indovinati accenni umoristici.
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