Regia di Silvio Soldini vedi scheda film
Un film la cui visione mi ha fatto male, mi ha turbato, mi ha trasmesso un senso di sconforto. Probabilmente perchè ha toccato corde che mi appartenevano, emozioni in cui mi sono riconosciuto. La qualità essenziale di questa pellicola è quella di riuscire a centrare quello che, in QUESTA società e in QUESTA epoca, è forse il problema dei problemi. L'incertezza, la mancanza di riferimenti sicuri a cui eravamo abituati, quella parola oscura e minacciosa che può gettarci nello sconforto da un giorno all'altro: PRECARIETA'. Quella "precarietà" che spesso si collega ad un altro termine, una parola chiave, una parolina magica che -secondo coloro che sono al servizio del capitalismo senza SE e senza MA- pare essere la panacea a tutti i mali: FLESSIBILITA'. Dicevo prima che il film mi ha turbato, e il motivo è che anch'io, nella mia vita professionale, pur avendo (per ora) un lavoro, sto vivendo quei mutamenti che ti portano ad assistere al crollo di ogni punto di riferimento e ti lasciano allibito ed impotente di fronte ad un mercato del lavoro sempre piu' cinico e spietato. E questi cambiamenti lavorativi incidono fatalmente su di te come persona, nel tuo privato, fino ad annichilirti, a farti perdere il gusto della vita e delle relazioni con gli altri, possono abbruttirti. C'è da stare davvero male a pensarci: ma come può il lavoro ridurre un uomo a questo punto, quando diventa una sorta di schiavitu'? Oggi sei qui e fai questo, domani sei là e fai tutt'altro: i giovani d'oggi sono rassegnati a questo "allegro" mutare, loro che non hanno conosciuto tempi migliori, ma chi è cresciuto con dei principi certi e dei valori certi può esserne traumatizzato fino alla depressione. Dunque questo film racconta di due persone, una coppia, che si ritrova proprio nell'occhio di questo ciclone e ci finisce (come spesso accade oggi) da un momento all'altro. E basta molto poco. Nel nostro caso, basta che un dirigente di una società venga estromesso dagli altri soci (per via di punti di vista opposti circa la gestione dell'azienda) e da quel momento la vita di quella persona cambia "da così a così". E riesce, coinvolto in un meccanismo di progressiva umiliazione, a perdere la propria dignità e a tirare fuori il peggio da sè stesso. PRECARIETA':questa parola che fa paura, che può farci precipitare nell'abisso, che può condizionare (nel caso dei nostri protagonisti) anche il rapporto coniugale o il rapporto coi figli. Il film non fornisce ricette o linee da seguire: non esistono soluzioni se la realtà drammatica è quella che abbiamo sotto i nostri occhi (cioè chi ha un lavoro, pur di conservarlo, finisce con l'adeguarsi a tutto, umiliazioni comprese). Ma c'è un modo per reagire, sembra dire quel finale che non è un lieto fine ma solo realista: ed è il non isolarsi, il non rinchiudersi nella propria solitudine senza sbocchi, ma cercare nella propria famiglia e/o in un amico (per chi ha la fortuna di averceli, famiglia e/o amici) quel minimo di forza ed energìa per andare -comunque- avanti. A merito della sceneggiatura e della regìa, va detto che il film non trasmette (pur in ambito così triste e negativo) il senso del cupo o del tragico, essendo realizzato sullo sfondo della vita quotidiana, delle cose di ogni giorno, in modo da rendere il tutto molto reale, credibile e verosimile. Con quel tocco delicato a cui Soldini ci ha piacevolmente abituato. Albanese e la Buy mi hanno colto di sorpresa. Ero quasi pregiudizialmente poco incline ad apprezzarli... trovando lui spesso insipido e forzato, e lei abbonata al solito eterno ruolo di moglie isterica. E invece qui danno uno spessore umano incredibile a due personaggi rendendoli "persone", offrendo due belle prove di attori, e regalando sensibilità e fragilità a questi due ruoli di esseri umani feriti, sperduti e delusi.
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