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2 giorni a Parigi

Regia di Julie Delpy vedi scheda film

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La recensione su 2 giorni a Parigi

di EightAndHalf
4 stelle

E' innegabile che la Delpy abbia cercato di fare suo un duetto come poteva essere quello di Before Sunset di Richard Linklater per trattarlo a modo suo, anche perché dai personaggi che interpreta viene davvero da pensare che sia veramente nevrotica e testarda come viene rappresentata dai vari registi (proprio Linklater in Before Sunset ma anche in Before Midnight) e come, d'altra parte, lei stessa si rappresenta in 2 giorni a Parigi. Interessata dunque ai rapporti di coppia, ambienta (in maniera assai poco originale, per i motivi suddetti) la sua storia sentimentale finto-brillante a Parigi, per un lasso di tempo limitato, e guarda a una coppia di borghesi ipocondriaci e promiscui (lei stessa arriva a definirsi viziata come una borghese) che non rinunciano certo al loro carattere pur di venirsi incontro. Così nasce una disputa su tutti i fronti, non solo nella camera che i genitori di lei (i veri genitori della Delpy) hanno loro momentaneamente concesso, ma anche per le strade di Parigi, in cui il mito del Caso, che ti fa reincontrare persone da te conosciute tempo prima e anche straniere (o meglio, della tua stessa nazionalità quando sei in terra straniera), sembra valere soltanto per le vecchie avventure sessuali di lei. E il mito del Caso non c'entra niente con la storia, in realtà, è solo un pretesto o un riempitivo con cui la Delpy pensa di colmare un'infinità non barbosa ma risaputa di dialoghi vivaci e scattanti che appunto guardano a Prima dell'alba (ci si mette a parlare di massimi sistemi in qualunque momento) ma che vanno ben oltre la soglia della verosimiglianza, diventando ostentazione bella e buona di finta originalità e di grande convinzione semi-autoriale, tanto da prendere in antipatia una Delpy inacidita che ha detto ciao ciao alle sue figurine graffianti ma leggiadre alla Film Bianco. E' lei dopotutto il centro della scena, insieme all'antipaticissimo Adam Goldberg che tira fuori, quando non ha niente di meglio da dire, le sue paranoie e le sue paure, tanto da tediare più della storia in sé, finta e sbagliata in partenza. Non sono tanto i luoghi comuni il problema, quanto l'intenzione, talmente tallonata da sfinire, della Delpy di giocare con quegli stessi luoghi comuni fino a demolirli e celebrarli allo stesso tempo, dunque con la volontà di destare una simpatia a dirla tutta invisibile e impercettibile. Non basta sputare in faccia gli stereotipi e tutto il loro carattere grossolano per demolirli, perché il film, con tutte le sue intenzioni, risulta monco e fragile, costruito proprio su quei luoghi comuni tanto criticati. E neanche si può parlare di imprevedibilità della vicenda, perché il finale è telefonatissimo ed è sintomo palpabile di una mancanza di idee che non si sa come si è riusciti a passare tutta la durata del film senza davvero ottenere nulla di nuovo. La regia è mossa e quasi sciatta, non perché mossa ma perché disattenta, fin troppo interessata a sminuire il fascino della Ville Lumière per soddisfare palati alla fin fine borghesi che non si impressionano più se si intravede il pene del protagonista o se si parla di volgarità quotidiane con nonchalance, giusto per restare in tema di francese. Gli stessi litigi con i taxisti, assolutamente superflui e emblematici di uno stile privo dei giusti tempi e delle giuste misure, risultano grossolani, a fianco dell'altrettanto grossolana ricerca di originalità che permea tutta la pellicola. Peccato, perché in altre circostanze la Delpy ha destato una simpatia (e un fascino) non da poco. Poi il doppiaggio italiano dimezza ancora di più la bassa qualità di questo suo secondo lungometraggio, che più che altro è un passo falso bello e buono.

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