Regia di Julie Delpy vedi scheda film
In arrivo da New York con il fidanzato americano per recuperare il suo gatto, Marion – J. Delpy trascorre due giorni a Parigi in cui imparerà a conoscere il compagno (Jack – A. Goldberg), a mettersi in discussione e scegliendo una volta per tutte che tipo di vita affrontare. Detto così non fa effetto. July Delpy, reduce dai due melò supersentimentali strappacuore di Linklater “Prima dell’alba” e poi “Prima del tramonto”, quasi fosse una posologia di un qualche farmaco per la depressione, decide di ambientare scrivere dirigere e interpretarne la nemesi liberatoria proprio a Parigi, il luogo del doppio misfatto che le ha dato notorietà connotandola per contro dell’aura di eroina dei sentimenti che forse, poco le si addice.
La bionda autrice crea così un film Alleniano nella struttura, verboso e ironico, ella stessa con gli occhiali dalla montatura pesante mostra quello sguardo millantatore di stupore intellettuale che omaggia direttamente il Vate della Grande Mela. Sesso al posto dell’alto sentimento d’amore, questa è la rivincita goliardica della Delpy, il gioco al massacro di tutti i luoghi comuni che contraddistinguono le differenze tra francesi e americani, come nella migliore tradizioni, viene filtrato dalla visione contrapposta del sesso vissuto in modo libertino e disinibito dai primi che mandano nei matti i più bigotti e ingessati americani. Macellazione dei sentimenti che iniziano nello stereotipo della famiglia di lei, ex figli dei fiori con la propensione allo sberleffo la cui madre è stata una delle 343 puttane della marcia delle femministe negli anni ’60 e amante occasionale di Jim Morrison. La mattanza prosegue con il gruppo di amici in cui sembra che sempre e comunque il sesso l’abbia fatta da padrone nel corso degli anni suscitando la gelosia sempre più motivata del suo compagno. Il film è tutto lì, in effetti, con il sempre più sconvolto Jack che cerca di riconoscere una sempre più distante Marion dall’ideale etereo che si era costruito nella rassicurante America e che in terra natìa si dimostra essere una persona molto più umana e volubile di quella che è. Poi tutto si ripete, all’infinito, le situazioni si rincorrono cercando di essere sempre intelligentemente divertenti ma non possedendo quella forza iconoclasta di demifisticazione dei tabù che Allen possiede e la Delpy no e questo è il limite della storia. Il divertimento scema nell’irritazione, la Delpy esaurite le trovate shock (foto di lui nudo con palloncini, volgarità assortite spacciate per intellettualismo liberal e opere d’arte di genere soft pornografico), dopo circa un’ora di rimescolamento di tutto il detto e il ridetto non trova il bandolo della matassa e lascia sfiorire il film fino alla conclusione, mediante una lunga confessione che vorrebbe tirare le fila di quello che si è visto ma che non avendo la capacità di chiudere per immagini, si limita a raccontare in un finale sentimental-introspettivo molto simile ai polpettoni d’amore che l’hanno lanciata come musa di Linklater e da cui evidentemente non riesce a sganciarsi.
Commedia comunque divertente, coraggiosa soprattutto, ammantata di un’aura autoriale e radical-intellettuale in bilico tra l’esserci (la Delpy cerca di trovare una profondità intellettuale che gli sfugge nella messa in scena) o il farci (la Delpy ha in mano il film e mostra la società francese così piena di presunzione dal diventare grottescamente patetica nel suo ostentare cultura e libertà intellettuale), questo non si sa ed è meglio non saperlo, tutta l’operazione va presa così, in tutti i suoi indubbi pregi e ingenui difetti.
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