Regia di Riccardo Milani vedi scheda film
Il riferimento musicale del titolo allude alla solitudine del protagonista, il jazzista Luca Flores suicidatosi in giovane età, al termine di un esistenza ricca di successi artistici, ma inevitabilmente segnata dalla scomparsa della madre di cui non smise mai di sentire la responsabilità. Un legame strettissimo che andava a colmare quello pressochè assente con il padre, geografo di fama, rubato alla famiglia dagli impegni di lavoro e da un carattere privo di slanci affettivi. Il film ripercorre in maniera cronologica i momenti salienti della sua esistenza, dall’infanzia assolata delle spiaggie keniane, agli inizi musicali, folgoranti e talentuosi, che precedono gli anni della crisi, quelli su cui maggiormente si sofferma la narrazione, in cui la parvenza di normalità lascia il posto all’instabilità psichica. La scelta di rinunciare alla riproposizione dell’artista maledetto per soffermarsi sul dramma dell’ “uomo interrotto” appare in linea con lo spirito del libro che ha ispirato il film e con i toni volutamente sommessi della regia. La prova attoriale, in aderenza con il inguaggio cinematografico del film, ci da l’opportunità di apprezzare una schiera di attori che da soli costiituiscono passato e presente del nostro cinema più recente: da Kim Rossi Stuart, a suo agio con gli sguardi insondabili del giovane musicista a Mariella Valentini, indimenticabile giornalista che tormentava Michele Apicella con il “Trend negativo” (Palombella Rossa) a Corso Salani, regista e attore un tempo famoso ed ora impegnanto in un cinema di ricerca che non si chiude in se stesso (Palabra), per continuare con la delicata Sandra Ceccarelli, attrice di cui si sentiva la mancanza ed ancora Paola Coltellessi in un ruolo che ne conferma la grande versatilità. Un Pantheon di prime donne che suonano come violini sull’altare delle emozioni, grazie ad un regia da sempre abituata a privilegiare il fattore umano. Quello che impedisce al film di portare a casa l’intera posta è un eccesso di didascalismo, soprattutto nella parte centrale, quando il disagio del protagonista avrebbe meritato qualcosa in più dei continui primi piani ed un eccesso di pudore che normalizza in modo eccessivo un percorso artistico ed umano fuori dal comune.
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