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Piano, solo

Regia di Riccardo Milani vedi scheda film

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La recensione su Piano, solo

di giancarlo visitilli
8 stelle

Piano, solamente. Piano, piano, sono solo. Solo piano. In quanti modi diversi si potrebbe interpretare il titolo del bellissimo film di Riccardo Milani, specie dopo averlo visto e aver desiderio di rivederlo ancora.
La storia é quella di Luca Flores, già raccontata quattro anni fa in un libro (“Il disco del mondo”) da Walter Veltroni. Flores era un geniale musicista, “un ragazzo che non beveva, non fumava, non si faceva le canne”, ma che suonava come solo pochi sanno ancor oggi suonare. Morto suicida nel 1995 in giovanissima età, Luca aveva un rapporto quasi carnale con il piano (“Ho litigato con mio padre, non possiamo parlare, devo andare a suonare”), tanto da avergli consacrato la vita. Sempre alla ricerca della felicità, di qualcosa di più grande, la vita del giovane musicista è segnata per sempre dalla tragica scomparsa della madre, morta in un incidente stradale in Africa. Luca si trasferisce a Firenze dove si diploma in pianoforte con il massimo dei voti. Dotato di un grandissimo talento e curioso di scoprire altri mondi, ben presto abbandona gli studi classici per seguire le vie del jazz. Talento, studio e un’enorme sensibilità gli aprono porte nuove: conteso dai più grandi musicisti jazz dell’epoca, dopo poco tempo abbandona i locali fiorentini per andare in tournèe con Chet Baker. Un’autentica svolta professionale, ma il successo non basta. Ben presto emergono i fantasmi del passato e la sua storia d’amore con Cinzia accentua le ferite mai rimarginate. La solitudine, l’autolesionismo e i primi sintomi della follia sono in agguato e, come tutti i più grandi musicisti jazz, Luca non riuscirà a sottrarsi al suo destino.
Dopo l’infelice parabola del cinema italiano, proveniente dalla Laguna e da tutti, pubblico e critica giustamente criticato, nonostante ciò non siamo di quelli che nutrono i retorici dubbi sulla qualità del cinema italiano, almeno in rapporto a pellicole valide come questa firmata da Milani e un’altra in arrivo, l’ultimo e ottimo lavoro di Zanasi.
Piano, solo è un bel pezzo di cinema nostrano, che vede già in fase di sceneggiatura “er meglio” fra gli scrittori per il cinema; insieme allo stesso Riccardo Milani, autori della sceneggiatura sono anche Ivan Cotroneo, Claudio Piersanti e Sandro Petraglia (quest’ultimo appare in breve cammeo del film, nella parte del presidente della commissione d’esami al consrvatorio).
Tutto nel film è in armonia: le immagini, i dialoghi e la musica, che si accompagnano ad un’interpretazione eccellente, del già apprezzato attore e regista, Kim Rossi Stuart, qui in stato di grazia, per mezzo di una recitazione che si avvale del metodo della sottrazione: frasi sussurrate, lunghi silenzi accompagnati da sguardi interminabili, guizzi di follia e, naturalmente, la sua naturale fisicità. Degni di nota anche gli altri attori: un Michele Placido che non si vedeva da tempo, e soprattutto una sempre più brava Paola Cortellesi. E’ vero anche che il film funziona per mezzo dell’apporto mai così importante, come in questo caso, della colonna sonora, con pezzi di Luca Flores, di Chet Baker, e altri pezzi riletti in chiave jazz dal trio Stefano Bollani, Roberto Gatto ed Enzo Pietropaoli. La regia di Milani, i movimenti di macchina, le inquadrature, sembrano spiare ogni luogo e spazio, anche laddove l’impercettibile suono del silenzio risuona solo nell’intimità del protagonista. Anche la geografia è partecipe della solitudine di Luca, la Firenze é immersa tra luci e chiaroscuri, non è più la stessa città da cartolina, presa d’assalto dai turisti. Qui la solitudine dei luoghi non lascia spazio neppure alla musica, perché, dopo la morte della madre, la vita di Luca Flores é come un disco inceppato, capace di riprodurre il solo rumore-suono che accompagnerà gli ultimi suoi giorni, quello stesso delle ruote dell’auto ribaltatasi. Spesso, anche il volto del musicista é ripreso con metà del viso completamente in ombra mentre l’altra metà è fortemente illuminata, per sottolineare fisicamente quello che lui stesso ha scritto in una sua bellissima lettera: “Il linguaggio della musica è uno ed è quello dell’anima, là dove le parole ci ingannano con i loro mille significati. E’ libera di volare in paradiso, di scendere nelle viscere dell’inferno o di starsene a galleggiare nel limbo. Io amo quei musicisti che cantano, scrivono e suonano ogni nota come se fosse l’ultima”. Nel suo caso, a noi sarebbe piaciuto non fosse capitata così troppo presto quell’ultima volta.
Giancarlo Visitilli

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