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Funeral Party

Regia di Frank Oz vedi scheda film

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La recensione su Funeral Party

di lussemburgo
6 stelle

Dev’essere sembrata una mossa furba da parte del distributore far assonare il titolo italiano di Death at a Funeral con quello di Hollywood Party. Una riunione di persone, un fattore di disturbo e un tratto genericamente satirico possono da lungi accostare i due film, ma la somiglianza esibita non fa che accentuare le differenze, fa solo risaltare la lontananza dal modello presupposto e declassa inevitabilmente la pellicola più recente al ruolo di modesto epigono.
È proprio sul versante registico che Oz dimostra una dolente mancanza di concezione spaziale del set, luogo fisico in cui coreografare corpi e gag, nell’incapacità di accordare movimenti e corpi all’interno dell’azione generale imprimendo ritmo all’insieme, nel semplice sfruttamento completo della profondità di campo di cui Edwards è maestro, con quella freddezza apparente dell’inquadratura, così oggettivamente imparziale da far risaltare, con accresciuta efficacia ed estrema eleganza, ogni effetto comico.
Se rimane comune ai due film l’intrusione di un elemento estraneo in un contesto coerente di cui provoca l’esplosione, Oz moltiplica i corpi alieni (un cadavere, un nano, la droga) ma ne annulla gli effetti cumulativi distribuendoli su differenti gruppi di personaggi, tra loro ben distinti e fisicamente separati. Mentre Edwards procede con logica meticolosità alla progressiva distruzione dell’ambiente, fisico e sociale, in cui l’azione si svolge, sino al quasi completo sovvertimento delle leggi naturali e collettive, la sceneggiatura più recente si limita ad impastare le diverse trovate con l’unità di luogo e di azione, imponendo una forzata convergenza ad elementi dissonanti che, così imbrigliati, finiscono per annullare il voluto dirompere comico che proprio quell’accavallamento voleva rafforzare.
Se la falsariga da commedia anglosassone, densa di sarcasmo e cattiveria, con punte di necrofilia e grottesco, viene mantenuta, Funeral Party rimane comunque profondamente americano nell’uso di una certa recente comicità regressiva e scatologica fatta di feci e sesso, con l’abusato ingrediente allucinogeno per condimento al fine di imprimere esibita follia al contesto di repressioni e frustrazioni, sociali, familiari e sessuali. Ogni dissolutezza, comica e morale, sembra però infine ricucirsi, viene riassorbita da un rassicurante ritorno all’ordine borghese, alla ricostituzione delle apparenze e delle convenienze, vanificando ogni valenza distruttiva del comico in un film soltanto gradevole.
La regia di Oz è funzionale all’illustrazione della sceneggiatura ed è priva di quella imperturbabile classicità che rende deflagrante la comicità di Edwards, il quale, sotto l’apparenza borghese anche della messinscena, non offre alcun riparo alle convenzioni e tesse trame di inarrivabile cattiveria e anticonformismo viscerale.

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